Un affresco visionario e decadente della vita dei singoli e delle collettività nella remota e desolante provincia statunitense. Lo realizza l’esordiente Michael Bible con il romanzo “L’ultima cosa bella sulla faccia della terra”. Un protagonista nel braccio della morte, un appello a prenderci cura della bellezza del nostro pianeta…
Raccontare la catastrofe planetaria, che, a seconda dei punti di vista, è imminente e inevitabile, prevista e probabile, ma anche scongiurabile o, addirittura, paventata, ma assolutamente irrealistica, perché frutto di un’ideologia catastrofista e terroristica, può essere fatto e con delicato lirismo, alternato a una prosa asciutta e precisa, che si traduce in una sorta di realismo tragico, a tratti, visionario. Michael Bible lo fa in L’ultima cosa bella sulla faccia della terra (135 pagine, 16 euro), uscito negli Stati Uniti nel 2020 e pubblicato in Italia da Adelphi, nella bella traduzione di Martina Testa.
La tragedia
La storia, nella sua tragicità, è apparentemente semplice: in una cittadina del Sud-Est degli Stati Uniti, Harmony, all’inizio del nuovo Millennio, un ragazzino, Iggy, una domenica mattina cerca di darsi fuoco e sceglie di farlo nella chiesa principale della città, dove vive una fervente comunità battista. Pur non riuscendo a realizzare il proprio intento suicida, involontariamente, il ragazzo uccide venticinque dei fedeli raccolti in preghiera. I suoi concittadini, tutti indistintamente, sia i testimoni diretti sia gli estranei all’incendio, saranno profondamente colpiti — e segnati — dalla tragedia tanto che, per anni e anni, anzi decenni, la ricorderanno, tornando più e più volte a interrogarsi sulle sue cause e, nella sostanza, sulle ragioni che possono avere spinto un adolescente a tentare di togliersi la vita, dimostrando in tal modo di disprezzarla tanto.
Prosa sobria e onirica
Che cosa rende questa storia avvincente e straordinario il romanzo d’esordio che la contiene e veicola? Il montaggio, come è strutturata la narrazione, oltre a una prosa — come già accennato — al tempo stesso lirica e ponderata, realistica e visionaria, sobria e onirica — detto per inciso, l’incipit è un “concentrato” di bellezza rara e incalzante, così come lo sono altri passaggi e pagine. Per quanto riguarda invece l’impianto narrativo, Michael Bible sceglie non solo di costruire a ritroso la vicenda, narrando a “cose avvenute” l’incendio e la morte fortuita dei fedeli, ma moltiplica i punti di vista. E, dunque, alla voce di un coetaneo di Iggy — ormai diventato adulto e consapevole delle angherie e umiliazioni subite all’epoca da quel ragazzino, semplicemente un po’ timido e riservato, per questo considerato strano e, dunque, deriso dai coetanei —, aggiunge quella di altri suoi concittadini, direttamente o indirettamente coinvolti nell’incendio, ma inevitabilmente tutti colpiti, nel corso del tempo, dalle sue conseguenze. E a queste voci, naturalmente, l’autore giustappone anche quella dello stesso incendiario, Iggy, ormai nel braccio della morte, il quale ricorda frammenti di quel fatidico giorno e ne offre la propria versione, recuperando vissuti di vite passate o anticipando visioni di vite desiderate o future.
Tre anime irrequiete
Il lettore viene così coinvolto da una prosa e un incedere narrativo, che definire ipnotici sembra quasi riduttivo, in una molteplicità di voci e prospettive, che si diramano da un’unica tragica vicenda, che sconvolge e segna una tranquilla cittadina in cui, prima, sembrava non accadere nulla, mentre dopo sembrano restare soltanto fumo, macerie e cenere. Al centro del narrato di ogni voce, campeggiano inesorabilmente tre anime irrequiete, che sperimentano diversi espedienti per estraniarsi ed evadere dalla monotonia di Harmony: il giovane Iggy, Cleo, la strana ragazza dai capelli di volta in volta di diverso colore, di cui lui è innamorato, e Paul, che inizia l’amico all’alcol, alle droghe e a una nuova indefinibile ma travolgente passione, che tuttavia si spegnerà anch’essa tragicamente.
Esistere, resistere
La penna di Michael Bible ora scava ora tratteggia caratteri ed emozioni, compone scompone e ricompone fatti, elementi, personaggi in un vibrante e struggente caleidoscopio, poi consegnato nelle mani dei lettori. Ne fuoriesce un affresco visionario e decadente della vita-resitenza dei singoli e delle collettività nella remota e desolante provincia americana, ma, in un certo senso, ne emerge anche la descrizione di quella resistenza quotidiana che è l’esistenza che tutti — chi più, chi meno — conduciamo sulla Terra dal momento in cui nasciamo, una resistenza che in questo scorcio di nuovo Millennio, a tratti, assume dimensioni apocalittiche e si fa forse più spasmodica, disperata, languida. E ci ricorda che ciò per cui vale (sempre) la pena vivere è la bellezza del mondo, per la quale vale anche e sempre la pena lottare, quand’anche essa fosse rimasta (magari soltanto nella nostra percezione e coscienza) l’ultima cosa bella sulla faccia della Terra e ci restasse poco da vivere, come accade a Iggy in prigione che, nelle ultime ore, prima della sua esecuzione dalla piccola finestra della sua cella scorge cadere le foglie di quello che ritiene essere un corniolo e questo lo riporta non solo al reale scorrere del tempo e delle stagioni, ma anche e soprattutto alla loro straordinaria, irrinunciabile e, forse, disperata bellezza.
L’accorato appello
L’ultima cosa bella sulla faccia della terra di Michael Bible può, quindi, essere anche letto come un canto del cigno, un accorato appello all’umanità sgangherata, distratta, confusa e disperata, che siamo, a vivere e beneficiare consapevolmente di ciò di cui disponiamo, dalla nascita (fino alla nostra morte e forse estinzione), insieme alla vita: il nostro pianeta. Uno struggente appello a prendercene cura, a non sperperarne e distruggerne la bellezza, perché, anche se spesso fatichiamo a ricordarcene e ad averne consapevolezza, specie nella barbarie violenta che, a più riprese, periodicamente si scatena — o meglio, che noi stessi scateniamo —, ci sconvolge e consuma, la bellezza appartiene alla Terra e la salverà, salvando al tempo stesso anche noi, finché la terremo nel cuore, nella mente e nelle nostre azioni consapevoli.
La letteratura americana ha un nuovo promettente scrittore.
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