“La gatta ha visto tutto” della texana Dolores Hitchens è un piccolo classico, il primo di una serie di gialli che hanno come protagonista una improvvisata detective dilettante, l’anziana Rachel Murdock. L’azione si svolge in una pensione e una pletora di personaggi fanno a gara per candidarsi se non al ruolo di colpevole, quanto meno a quello di persona poco raccomandabile
Con la traduzione di Chiara Rizzuto e l’introduzione di Joyce Carol Oates, la casa editrice Sellerio pubblica adesso il primo, fortunato, romanzo di Dolores Hitchens, intitolato La gatta ha visto tutto (360 pagine, 15 euro), uscito per la prima volta nel lontano 1938 con il titolo The cat saw murder.
Si tratta del primo di una serie di gialli che vedono agire, nella veste di improvvisata ma non certo per questo meno efficace detective dilettante, la signorina Rachel Murdock, arzilla e curiosa settantenne che solitamente vive un’esistenza tranquilla nella casa paterna, con la sorella Jennifer ed il gatto, che in realtà è una gatta, si chiama Samantha, ha un pelo “nero e setoso”, gli “occhi dorati” e un “miagolio da soprano”.
Un giallo dalla camera chiusa
La gatta ha visto tutto è un giallo della camera chiusa, filone che all’interno del genere ha e continua ad essere seguito, ormai da anni, da un vasto pubblico affezionato ed attento. Dunque, tutti gli eventi si svolgono all’interno di un edificio, direbbe Frankie hi-nrg “in costante escalation col vicino”… di stanza, perché il luogo del delitto (ma chi l’ha detto che è uno soltanto?) è una pensione, dove vive Lily, la nipote di Miss Rachel e dove quest’ultima si reca nottetempo, chiamata dalla giovane donna, in evidenti, anche se non meglio precisate, difficoltà.
È proprio qui che si svolgeranno i fatti oggetto delle indagini, ufficiali e non.
Effetti collaterali del racconto
All’interno di questa pensione, la Hitchens oltre a preparare la scena del delitto, con tanto di commento postumo messo lì (forse) per aiutare il lettore, dà voce e volto ad una pletora di personaggi di grande impatto, che sembrano fare a gara per candidarsi se non al ruolo di colpevole, quanto meno a quello di persona poco raccomandabile o, nella migliore delle ipotesi, di certo sgradevole alla vista ed alla mente. Effetti collaterali del racconto, potremmo chiamarli.
È con la descrizione minuziosa, attenta, quasi maniacale dei loro volti, delle loro espressioni e dei loro difetti fisici, che l’autrice texana costruisce, infatti, con maestria, quell’ambiente tipico della domestic suspense che apre la porta al lettore e lo invita, con garbo, ad accomodarsi in salotto ed a fare i conti con un enigma sempre più complicato ed un numero sempre più consistente di sospettati, molti dei quali prigionieri delle loro storie più intime e di sentimenti non sempre confessabili.
Gioco delle parti
Tutto questo mentre Miss Rachel ed il giovane tenente Mayhew (lui, sì, che è ufficialmente incaricato di condurre le indagini) sembrano proprio scambiarsi i ruoli, in un gioco delle parti per certi aspetti sorprendente, perché, come il lettore avrà modo di verificare in prima persona, sarà la diversamente giovane Rachel Murdock ad impegnarsi in azioni pericolose e spericolate, lasciando all’ingombrante poliziotto il compito di affrontare gli eventi in modo più equilibrato e saggio.
Ma sarà il loro continuo confronto a far fare un salto di qualità alle indagini ed è «particolarmente appagante – come annota Joyce Carol Oates nell’introduzione – che il trentatreenne detective in borghese Mayhew venga agevolato dalla collaborazione della settantenne Miss Rachel: solo unendo le forze questi due individui in apparenza antitetici mettono fine a quella che rischiava di diventare una serie di efferati omicidi commessi da un assassino brutale e privo di rimorso». Il tema è intrigante e certamente travalica i confini della narrativa, ma noi, per il momento ci fermiamo qui: ci sono delle indagini da portare avanti, vero Miss Rachel?
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