Un romanzo al femminile, le amicizie e gli amori nati ai tempi dell’università, e quel che resta di quella stagione a distanza di molto tempo. Con “Cinque giorni fra trent’anni” Francesco Fiorentino ha scritto una storia in cui tanti si possono ritrovare. “Ma – chiarisce in questa videointervista – non è un romanzo generazionale, semmai di gruppo, in cui la sfida era assumere tante prospettive femminili”
Francesista di lungo corso, docente emerito all’università di Bari, Francesco Fiorentino negli ultimi anni ha scoperto una vena da narratore niente male. Ha scritto due polizieschi a quattro mani ed è al secondo romanzo in solitaria, Cinque giorni fra trent’anni (ne abbiamo scritto qui), pubblicato dalla casa editrice Marsilio.
Centrali nel plot i personaggi femminili che danno i titoli ai sei pannelli in cui è suddiviso il libro (una struttura che richiama alla mente Balzac, di cui l’autore è un raffinato studioso): Roberta, Elvira, Emilia, Ada, Lea, Carla. “L’idea non era tanto quella di fare un romanzo generazionale, quanto un romanzo di gruppo. Durante gli anni universitari si creavano e si creano dei gruppi fra di loro molto solidali – spiega Francesco Fiorentino, in questa videointervista – anche se al loro interno ci sono rivalità, amori, tradimenti. Li ho poi abbandonati per ritrovarli in momenti decisivi della loro vita, quando era il momento di prendere delle decisioni e vedere come si comportavano”.
Cinque giorni fra trent’anni di Francesco Fiorentino è un romanzo di voci di donne, alle prese con un dissidio interiore, che attraverso spazio (l’autore racconta i rapporti che lo legano a Napoli, Venezia e Bari, le città della sua vita che tornano in qiesto libro; e anche i legami con Palermo…) e tempo. “Incarnare sei punti di vista femminili? Questa in verità è stata la mia sfida. Potrei dire che tutti noi uomini dovremmo avere la passione di capire le donne. Per le donne ho grande ammirazione, racconto quelle che per la prima volta, in massa, uscivano di casa, occupando un posto importante nel mondo. Sono tutte donne riuscite, appartengono alla borghesia professionale. Però questa riuscita sociale spesso si è accompagnata a un’inquietudine esistenziale. C’è qualcosa di incompiuto in loro, eredità delle generazioni precedenti”
Qui la nostra videointervista integrale, buona visione