Nuova prova narrativa del francesista Francesco Fiorentino, critico letterario e docente universitario. In “Cinque giorni fra trent’anni”, romanzo di gruppo, in sei pannelli, con altrettante dirompenti voci di donne, prospettive femminili assunte con grazia e lucidità. Più che sulle ideologie della generazione sessantottina, i riflettori sono puntati su amicizia e amore, sentimentale e sensuale…
«Potessi vivere cinque giorni fra trent’anni per sapere che sto pensando a tutto questo soltanto con un po’ di nostalgia. Ma chi ti dice che non scoprirei invece di aver perso l’occasione della mia vita?»
Sospira sgomento Arturo, uno dei protagonisti del primo dei sei pannelli che compongono Cinque giorni fra trent’anni (160 pagine, 16 euro), il nuovo romanzo di Francesco Fiorentino, pubblicato dalla casa editrice Marsilio. Contemplando uno scenario irrealizzabile, il giovane anela a una fuga impossibile. Vorrebbe sottrarsi alla disperazione di un presente inaccettabile, in cui le gioie dell’amore gli sono state precluse, ma realizza con frustrazione di non possedere la volontà necessaria per reagire e per inseguire, con un rischio che non è disposto a correre, un potenziale destino di felicità. Vano e irrealizzabile, questo struggente desiderio di evasione in un prossimo futuro dà il titolo al romanzo, il secondo scritto da solo, dopo Futilità (2021), da Francesco Fiorentino, critico letterario e professore emerito presso l’Università di Bari.
Il sogno esaudito e la sconfitta
È presto detto: sfogliate poche pagine, il sogno di Arturo è esaudito. Un fulmineo scorrere di lancette, un ticchettio di orologi, ed ecco che il lettore si ritrova all’improvviso catapultato in un futuro non troppo lontano, quando ormai, dal triste lamento pronunciato dal personaggio, sono trascorsi trent’anni. Arturo è sempre lo stesso, eppure il lettore stenta a riconoscerlo: lo vede profondamente cambiato, non tanto perché è ormai diventato un giudice, socialmente stimato e realizzato, ma perché è infelice e disilluso. Sconfitto dall’aspra indifferenza della vita, suo malgrado si ritrova alle prese con le conseguenze di un passato che avrebbe preferito dimenticare.
La giovinezza passata, la maturità presente
Finissimo conoscitore e studioso di Balzac, nel suo nuovo romanzo Francesco Fiorentino lo omaggia, ispirandosi alla celeberrima tecnica del ritorno dei personaggi, l’espediente narrativo che struttura la Comédie humaine. Cinque giorni fra trent’anni, infatti, si presenta strutturalmente frammentato in sei pannelli, ma senza mai trasmettere un’impressione di disomogeneità. Si tratta di sei storie di vita, ciascuna intitolata ad altrettanti personaggi femminili e ognuna profondamente intrecciata alle altre da legami indissolubili, in cui si intersecano, inoltre, le vicende dei pochi cooprotagonisti maschili. Roberta, Elvira, Emilia, Ada, Lea, Carla sono le protagoniste di questo romanzo di gruppo, in cui è la voce femminile a stagliarsi e imporsi, per rivendicare la sua forza e dirompenza; per denunciare, di volta in volta, dissidi interiori o volontà di indipendenza; tormenti o desideri; fragilità o pretese, sia in campo professionale, che erotico e sentimentale. I sei racconti che compongono il romanzo oscillano tra due distinti assi temporali. Al passato della giovinezza della generazione sessantottina (a cui appartengono tutti i personaggi), alle prese con la vita universitaria, si contrappone il presente, collocato trent’anni in avanti, della loro maturità. È questa una fase ben più complessa e amara della loro esistenza individuale: diventati quasi tutti esponenti della borghesia professionale, purché attivi e impegnati socialmente, i protagonisti appaiono infelici, tormentati, consumati dall’aspro conflitto con la vita.
L’Università, spazio di scoperta e teatro di incontri
I primi due racconti, ambientati nella Napoli dell’Università Federico II con i suoi circoli, seminari e collettivi, all’indomani del ’68, raccontano di un tempo in cui la vita universitaria veniva pienamente vissuta ed era improntata, prima ancora che al superamento degli esami, alla costruzione di rapporti umani, amicali, sentimentali. Si tratta di legami che segnano profondamente la vita dei protagonisti, contribuendo alla costruzione della loro identità e alla loro formazione, poiché li affrancano dal dominio assoluto della famiglia, da sempre primario principio di autorità, e contribuiscono al sempre difficile e decisivo passaggio verso la vita adulta. Oltre a configurarsi come il luogo attorno a cui gravitano tutte le figure principali, l’università è presentata come spazio di scoperta, non solo a livello culturale, ma propriamente umano. È il teatro di incontri e scontri fatali, che segnano profondamente il destino dei personaggi, è uno spazio in cui si instaurano legami duraturi, che superano le resistenze del tempo. Da questo luogo centrale, attraverso una serie di movimenti verso l’esterno, verso un altrove che è geograficamente sempre più distante, i personaggi incrociano altre vite ed esistenze. Nelle vie di una Napoli notturna si muovono Arturo e Roberta, l’unico personaggio “proletario” del romanzo, cantante di night-club, coinvolta nella vita accademica da Arturo. Montecarlo e Parigi faranno da sfondo all’epilogo della loro vicenda. Unica figura incapace di affrancarsi dalla realtà familiare, la pendolare Elvira compie il suo andirivieni dal capoluogo campano verso la realtà provinciale di Palinuro, che non riuscirà mai a lasciarsi alle spalle. Nei quartieri borghesi di Bari si trasferisce Lea, dove, pure quando ormai sono trascorsi decenni, continua a sentirsi un’estranea. I canali di Venezia e la sua provincia fanno da sfondo alla solitudine esistenziale di Ada.
L’immanenza del presente
L’amore e l’eros, l’amicizia e le rivalità, l’ambizione e le gelosie sono i temi dominanti della narrazione romanzesca, in cui l’autore si sforza di assumere una prospettiva femminile, riuscendo perfettamente nel suo intento. Senza mai risultare affettato e banale, ma con estrema grazia e lucidità, è capace di caratterizzare figure autentiche di donne, facendone emergere, al contempo, punti di forza e di vulnerabilità. Col suo stile fluido, analitico e preciso, vera e propria marca distintiva dell’autore, dai suoi saggi critici, fino ai romanzi, Francesco Fiorentino scrive un romanzo avvincente, scorrevole, sorprendente e a tratti commovente, specie nei passaggi più introspettivi, senza mai correre il rischio di risultare prevedibile. Lasciate sullo sfondo le lotte politiche e le ideologie che permeavano la generazione sessantottina, di quell’epoca e cultura si premura di mettere in luce i valori dominanti: l’amicizia e soprattutto l’amore, contemplato sia nei suoi risvolti più sentimentali, che sensuali. Puntellata di frasi brevi, che si succedono in periodi prevalentemente paratattici, la prosa scorre veloce, suggerendo continuamente un’idea di immediatezza. Il segreto sta nella scelta di abolire gli aspetti più descrittivi e riflessivi della narrazione, e nel ricorso a precise scelte stilistiche: al tema del passato, all’uso dell’imperfetto e del passato prossimo, Francesco Fiorentino preferisce l’immanenza del presente, che conferisce al racconto un ritmo incalzante, veloce e suggerisce il rapido fluire del tempo. Tutti i finali, poi, sono aperti: l’invito dell’autore, specialmente ai più giovani, è alla riflessione sulla propria vita e sulle proprie esperienze. Non vorremmo ritrovarci, come Arturo, a domandarci come si sarà evoluta la nostra vita fra trent’anni. È qui, ed ora, che dobbiamo trovare il coraggio di riappropriarci del nostro ruolo da protagonisti e di inseguire la felicità.
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Complimenti e auguri a Luciana Diciolla la cui vivace e accurata recensione lasciano intravedere acutezza e profondità interpretativa!
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