“Il disastro di Pavia” di Jean Giono è un saggio dall’ampia vena narrativa sullo scontro di civiltà dietro una battaglia fra due eserciti composti sostanzialmente da mercenari: una aristocrazia vecchia cede il passo a un mondo nuovo, un passaggio di consegne che si consuma in un’Italia non ancora approdata al Rinascimento, terra di passaggio e di conquista…
Una pazza felicità, per citare un altro titolo dell’autore, ritrovare in libreria l’avvincente, stendhaliano, pacifista ed ecologista ante litteram Jean Giono. L’editore Settecolori non smette di guardare Oltralpe e di attingere ai tanti libri da riscoprire o, in certi casi, da tradurre per la prima volta. Un lavoro instancabile che, qualche mese fa, è valso al direttore editoriale della rinata casa cult, Stenio Solinas, il prestigioso Prix du rayonnement de la langue et de la littérature française 2023, assegnato dall’Academie française. Proprio in concomitanza con questo riconoscimento è stato dato alle stampe un gioiello di Jean Giono, Il disastro di Pavia (383 pagine, 25 euro), una sorta di saggio dall’ampia vena narrativa, che prefigura il futuro, inquadrando un’aristocrazia vecchia, aggrappata a un passato che evapora e finirà per cedere il passo a un mondo nuovo.
L’antimilitarismo e un’ingiustizia…
Giono (1895-1970), alfiere del pacifismo contadino, nato in una Provenza selvatica spesso descritta nelle proprie pagine, non recise mai il legame con le origini italiane. Come dimostrano le sue traduzioni da Machiavelli e il suo titolo più universalmente noto, L’ussaro sul tetto, in cui alcuni carbonari italiani riparano in Provenza, e il protagonista, Angelo Pardi, è un impavido rivoltoso, capostipite di una serie di figure presenti nell’opera di Giono. Le sue idee erano piuttosto limpide, antimilitariste e tutt’altro che reazionarie, ma qualche malinteso gli costò caro. Certamente Jean Giono oppone – ma non in modo romantico – il mondo rurale ai disastri dell’industrializzazione, vagheggia il ritorno e la fedeltà alle tradizioni contadine, ma questo non significava aderire alla destra o addirittura essere vicino al regime di Vichy, accuse che invece una sinistra accecata dall’odio tramutò in condanna e gli fece pagare nel dopoguerra. Il suo mancato allineamento, la sua adesione esclusiva alla causa pacifista e al disarmo, la diserzione di qualsiasi esercito e la pubblicazione di un suo romanzo sulla rivista collaborazionista “La Gerbe” furono i pretesti per imprigionarlo. Un’ingiustizia a cui fece seguito la liberazione, una riabilitazione totale, umana e politica, oltre che letteraria.
Lanzichenecchi e mercenari
Il disastro di Pavia 1525: la sconfitta di Francesco I in Italia (tradotto da Franco Pierno, prefazione di Giuseppe Scaraffia, postfazione e fascetta gialla di Franco Cardini) fu un lavoro commissionato appositamente da Gallimard. Nelle intenzioni dell’editore un avvenimento storico epocale (con altri analoghi di una collana), diverso il risultato finale, perché l’epica di Jean Giono, dagli anni Cinquanta in poi riconosciuto pienamente come scrittore di assoluto valore, è un’epica minima, fatta di rivoli di storie, di dettagli, di combattimenti nel caos e sotto la pioggia. Relazioni, resoconti, sopralluoghi furono alla base di questo libro, in cui la battaglia è evocata come un «tafferuglio» di eserciti scoordinati, di cavalieri e lanzichenecchi (quelli veri, non quelli di Alain Elkann), di mercenari e fanti; i signorotti della Francia monarchica del sedicesimo secolo – sembrano per lo più pazzi e ingenui, impegnato in un gioco più grande di loro – caddero in battaglia, forse anche eroicamente, ma non impedirono che Francesco I, il loro re malconcio e salvato a stento delle ostilità, fosse consegnato all’imperatore Carlo V. Una catastrofe inattesa per il sovrano francese, appassionato d’arte e mecenate, sprezzante del pericolo e amante della bellezza femminile, alla cieca ricerca di gloria. Due personalità distanti, opposte. Due idee di mondo agli antipodi, un passaggio di consegne tra il mondo che fu e quello che sarà, che si consuma in un’Italia non ancora approdata al Rinascimento, terra di passaggio e di conquista, che ha perso la centralità nello scacchiere internazionale.
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