Collega e sodale di Italo Calvino, Ernesto Ferrero, con “Italo” regala un omaggio affettuoso dell’amico schivo: non tanto un’indagine sul suo mistero letterario, quanto il tentativo di risolvere il rebus di indecifrabilità che lo stesso scrittore s’era cucito addosso…
Padre padrone del Salone del Libro di Torino per diciotto anni, premio Strega in uno di questi diciotto anni, prolifico autore, traduttore di leggende, da Céline e Perec, Ernesto Ferrero, classe 1938, è uno degli uomini Einaudi per antonomasia, arrivato ai vertici partendo dall’ufficio stampa dello Struzzo, posizione occupata anni prima anche da un certo Italo Calvino (abile nell’agitare le acque della polemica attorno ai libri, in un’Italia che sui libri si interrogava…), che per Ferrero fu fratello maggiore e compagno di viaggio, non il monumento inafferrabile e incomprensibile che lo scrittore stesso si divertiva a tratteggiare, a impersonare. Depistava, si nascondeva, si lasciava assediare, senza capitolare mai, Italo Calvino, nato per osservare, possibilmente senza che nessuno lo scrutasse, appollaiato su un albero, come il suo Barone.
Il puzzle mai completo
Dopo decenni Ernesto Ferrero si cimenta con la difficile arte di penetrare il rebus Calvino. Quello costruito dallo stesso Italo Calvino, allestito in modo fitto, agitando le acque, o facendole scorrere chete. Seminando ogni volta un sé diverso, l’autore nato a Cuba, ma ligure, “esiliatosi” a Parigi, tornato a Roma, morto in Toscana, giovane, e seriamente candidato al Nobel. A ogni libro un pezzo diverso di sé, il pezzo di un puzzle che non si completava mai, sotto i colpi di reticenze e allusioni. Del resto Calvino era uno capace di scrivere, ne Gli amori difficili:
… forse non era il momento. Forse io e te abbiamo un altro tempo.
E, in Palomar:
L’eros è un programma che si svolge nei grovigli elettronici della mente.
Bando alle ciance, torniamo a Ernesto Ferrero e al suo Italo (232 pagine, 19 euro), edito da Einaudi. Un volume che più che indagare il magistero letterario di Italo Calvino, osserva, come una webcam fissa, i silenzi del mito, le solitudini, le delusioni, il desiderio di offuscarsi, di ripararsi dietro ciò che scrive, di mimetizzarsi dietro leggende metropolitane. Pagine prosaiche, che non esitano a inquadrare lo scrittore nella sua apparente sciatteria («L’abbigliamento di un esponente del ceto impiegatizio che non ha ambizioni di carriera»). Pagine di memorie e analisi, sull’infanzia, sulla Liguria, sull’irrequietezza e sull’autoritarismo – ai quali rispondeva col silenzio – del padre agronomo, Mario, sull’esperienza partigiana (quasi taciuta o, comunque, mai illuminata davvero), marchiati nel dna di Italo Calvino.
Qualche breccia nel “muro”
Italo di Ernesto Ferrero si ricollega certamente a un paio di altri suoi volumi votati alla memoria, da I migliori anni della nostra vita ad Album di famiglia. Questo, più degli altri, si scioglie in un omaggio affettuoso all’amico schivo. La sensazione è che Ferrero voglia tenere a bada gli aneddoti e il gossip (unica eccezione i passaggi dedicati alla relazione con l’attrice Elsa de’ Giorgi) puntare sui ragionamenti: dalla centralità del matrimonio con Chichita, al secolo Esther Judith Singer, all’allontanamento dal Pci, per l’invasione di Budapest a opera dell’Armata Rossa, alla sostanziale noia trasmessagli da Fidel Castro. Non è un sipario completamente alzato sull’arcano Italo Calvino, il volume di Ernesto Ferrero, ma qualche breccia sul criptico muro la lascia. Sarà davvero difficile, d’ora in avanti, dire qualcosa di nuovo sullo “scoiattolo della penna” – Pavese dixit – o almeno sul letargo in cui si adagiava, non per godersi l’inverno, ma per sfuggire al mondo…
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