Le dinamiche meschine in ambiente lavorativo sotto la lente di Michele Orti Manara nel racconto “L’odio migliore”. L’ultimo arrivato tra gli impiegati è preso in antipatia da un veterano, che prova a incastrarlo, sino a un finale doppiamente sorprendente…
Era facile accorgersi del talento per la narrativa breve di Michele Orti Manara, che proprio con una raccolta di short stories (ne abbiamo scritto qui) aveva debuttato qualche anno fa. Adesso che lo scrittore veronese è tornato sul luogo del delitto, pubblicando un racconto per la casa editrice Tetra, l’osservazione è più calzante che mai: Orti Manara sa come orchestrare in pochi paragrafi una vicenda, alimentarla di suggestioni e azioni, portarla a compimento, anche con un sussulto finale niente male.
Competizione professionale
Ne L’odio migliore (76 pagine, 4 euro) – il numero 16 della collana diretta da Roberto Venturini – si raggiungono vette di ritmo serrato, bella scrittura e idee intinte nella… perfidia. Dalla prima all’ultima pagina. La competizione professionale (e generazionale) è mostrata con ironia in tutta la sua crudezza e meschinità. Alcuni impiegati immersi nelle dinamiche (anche gerarchiche) di un’azienda sono al centro della scena. Il veterano Zauli, tra pregiudizi e antipatia a pelle, prende di mira l’ultimo arrivato, il “damerino” Sabatini, che sorride in ogni frangente (e, dunque, per Zauli, «ha qualcosa da nascondere»): dove bon ton ed educazione non attecchiscono, dove cinici, spietati, ipocriti, si fanno largo, serenità e gentilezza possono apparire una pericolosa trappola…
Mistero buffo
Come se non bastasse c’è un piccolo mistero buffo che si materializza in ufficio: un cleptomane che porta via piccole quantità di oggetti di cancelleria. Per Zauli l’equazione è semplicissima: è colpa di Sabatini ed è l’occasione di incastrarlo. L’evoluzione che Orti Manara (qui una sua intervista) imprime alla vicenda, però, è molto meno scontata e molto più gustosa. L’epilogo è doppiamente sorprendente, uno dei punti di forza del racconto, al tempo stesso dà una sterzata a qualcosa che sembrava perduto ma, non andando oltre in modo definito, regala un piacevole senso di non compiuto, buchi che il lettore può rammendare con la fantasia…
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