Postumo e inedito, scritto nella seconda metà degli anni Settanta, è il romanzo “L’amica” di Mario La Cava, morto quasi trentacinque anni fa. Una storia che inizia negli anni Trenta, in pieno fascismo, in una piccola comunità calabrese. Protagoniste due coppie agli antipodi…
Intellettuali come Mario La Cava servirebbero, al giorno d’oggi, all’Italia e al Meridione, in particolare. Lontano dalle mode, radicato nel proprio territorio, semplice nell’esposizione, al fianco degli umili e degli ultimi, dei poveri e degli emigranti di ritorno. Era scrittore civile, senza perdere la poesia, La Cava. Rubbettino e Hacca hanno qualche titolo in catalogo, ma reperire alcuni dei suoi libri più importanti è un’impresa, significa mettersi a setacciare rivendite di libri usati, soprattutto on line.
Narrazioni corali e stile essenziale
Storia e psicologia hanno uguale peso nell’inedito postumo L’amica (169 pagine, 18,50 euro), un romanzo scritto nella seconda metà degli anni Settanta e pubblicato meritoriamente, dopo decenni, dall’editore Castelvecchi: una lettura che spinge a riscoprire tutta l’opera del calabrese La Cava, di cui a novembre ricorreranno i trentacinque anni dalla scomparsa. Il testo originale è stato recuperato da Domenico Calabria, genero di La Cava. Scrittore formidabile, con le sue narrazioni corali, con la sua eccellente padronanza della storia e un raro occhio sociologico, con uno stile essenziale. Un autore che molto contò nell’apprendistato di Leonardo Sciascia, con cui scambiò una fitta corrispondenza nel corso della vita.
Due donne
Il fascismo e gli anni Trenta sono sotto la lente di ingrandimento di La Cava, che poi guarda a una povera provincia del profondo sud e a due donne che si fanno rapidamente spazio fra i capitoli de L’Amica. La bella Giuditta, moglie di Pietrino e madre di Benito, Edda e Felice, vive in un determinato contesto, un piccolo centro calabrese, ingabbiata in una realtà patriarcale e, come se non bastasse, in una società succube dell’ideologia fascista. Il marito è un poco di buono, uno spiantato che per restare a galla diventa con nonchalance un voltagabbana, inneggiando agli inglesi giunti in Calabria, dopo essere stato fervente sostenitore del regime. L’altra donna è Olga, moglie di un operaio antifascista, Milone; provengono dal nord e hanno atteggiamenti e idee molto diverse dalla coppia calabrese. Olga contribuirà in un certo senso a scardinare certe dinamiche dell’altra coppia, tra miserie di provincia, contraddizioni, ambiguità, vendette, menzogne, nulla sfugge. La Cava mette nel mirino la retorica fascista, ma non fa sconti anche al dopoguerra, evocato come un svolta frettolosa e carica di promesse non mantenute. Lo scrittore calabrese è abilissimo nel ritrarre una piccola comunità, che mormora parecchio anche ne L’amica…
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