Non è una città per turisti, ma per sognatori, “Parigi” nell’omonimo libro di Julien Green, fra i massimi autori del Novecento francese. La sua città bella, ma fragile, si scopre nel silenzio, lontano dalla folla, tra percorsi inediti…
Dubitavo potesse esserci un libro Adelphi, con la parola “Parigi” nel titolo che rivaleggiasse in fascino con Parigi o cara di Alberto Arbasino e con Il signore di Parigi di Alexander Lernet-Holenia. Mi sono ricreduta dopo poche pagine appena di una breve opera di Julien Green, Parigi (117 pagine, 12 euro), tradotta dall’eclettica Marina Karam. Diversissimi fra loro, questi volumi, sono accomunati solo da un gusto per la bella prosa e dalla capacità di farsi leggere con voracità e con intensità. L’ultimo pubblicato, quello di Julien Green (curiosamente, ma non troppo, fra i “personaggi” del volume di Arbasino), sconfessa la vocazione commerciale della Ville Lumiere, l’immagine scintillante a uso di stranieri, vittime di un incantesimo. Non è, insomma, una città per turisti, ribadisce l’autore, o almeno non è la capitale francese che racconta lui. Lo scriveva una quarantina d’anni fa, con totale cognizione di causa, da fare ritenere che anche oggi, nel 2023, avrebbe confermato questa osservazione, più che opinione.
Passeggiata infinita
«Parigi è di una bellezza che a tratti mi preoccupa perché la sento fragile, minacciata». Pensieri che nascono durante un eterno camminare, nel corso di una passeggiata infinita per il prolifico Julien Green, tra i maggiori scrittori francesi del Novecento, instancabile spigolatore di scorci non visti, inediti: a qualsiasi ora del giorno e della notte, a qualsiasi età della vita, giovanissimo e in piena terza età. Scrive di cieli opachi, di scalinate, di un nebbioso fiume Senna, oppure scrive di un piccolo chiostro, di una libreria o degli stand di una fiera che vengono dismessi, e il suo occhio sa essere al tempo stesso poetico e spietato.
Credo che, delle grandi città che ho visto, Parigi sia una delle più tristi, nonostante quella fama di allegria ereditata da un’epoca felice. La miseria e la malattia si aggirano a tutte le ore del giorno e della notte nelle strade di quella tetra Montmartre che agli occhi del turista brilla come un paradiso di spensieratezza e voluttà.
Atmosfere perdute
Per quanto fosse curioso del futuro, e lo fa capire anche nel finale, forse Julien Green non avrebbe potuto immaginare quanto è cambiato il mondo, non solo Parigi, dopo la pubblicazione di questo libro, che narra angoli segreti, visioni improvvise, itinerari sghembi, straordinarie quotidianità. Si smarrisce in atmosfere perdute, in percorsi senza meta e senza tempo, indugia su ciò che di notevole vede o solo percepisce. La sua città si scopre nel silenzio, lontano dalla folla. La sua passione per Parigi è esplicitata, lampante, ma mettendo da parte ciò che è amato e conosciuto da chiunque nel globo. Gli interessano le istantanee scattate con gli occhi di un viandante disposto a perdersi…
Parigi è restia a concedersi alla gente frettolosa, l’ho già detto, appartiene ai sognatori, a chi sa svagarsi nelle strade senza badare al tempo che passa, anche se doveri impellenti lo reclamano altrove; in cambio, può vedere ciò che altri non vedranno mai.
Tutt’altro che orpelli sono le immagini fotografiche al centro del volume, accessori complementari e non secondari, risalenti al periodo fra le due guerre mondiali, danno concretezza al girovagare di Julien Green, a quello sguardo non omologato, alla volontà di spingersi dove altri non arriverebbero.
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