Leila Baiardo, tra metamorfosi e persistenza dell’invisibile

Leila Baiardo, autrice de “La Santa”, è morta, ma non potrà mai morire chi consegna ai lettori dei personaggi destinati a vivere per sempre. Con questo romanzo ha scritto un libro di ingegnosa ironia. Protagonista Sara, un’adolescente in una Sardegna preconciiare, con il suo passaggio e la sua trasformazione, concepiti mantenendo il ritmo del verosimile, senza precipitazioni miracolistiche o surreali 

Non conoscevo Leila Baiardo, non la conoscevo ancora. Ho comprato un’altra sua opera per conoscerla meglio, dopo aver letto questa. Non potrei conoscerla se non così. Non potrò mai conoscerla di persona, non più. E così questo libro, La Santa (Le Commari Editore, 219 pagine, 18 euro), divorato lo scorso maggio e che solo ora ho il tempo di recensire, porta con sé anche la necessità di un omaggio e di un ricordo.

Senza che ci sia il bisogno di impreziosire il vanto con il compianto.

Perché il libro non ne ha affatto bisogno; e semmai possa valere il solito adagio (in verità sempre troppo retorico) secondo cui il ricordo di qualcuno continua a vivere in ciò che ha fatto, queste pagine proverebbero qualcosa di ancora più radicale: certi prodotti del cuore umano, dell’umana intelligenza, dell’immaginazione di noi poveri mortali, sono segno che il nostro è ben più d’uno sforzo di eternarci; è già eternità e dunque vita. Cos’è infatti l’immaginazione d’un essere umano, e di una scrittrice in particolare, se non la forma più prossima non già ad uno stato creaturale ma ad una natura creatrice?

E chi crea non muore. Passa. Letteralmente: gira una pagina su ciò che è stato per aprirne un’altra non su ciò che sarà, ma su ciò che già È.

La scrittura della Baiardo è, dunque, tanto viva e dinamica nei riflessi del fenomeno umano così audacemente descritto, che scoprire – a fine lettura – che l’autrice “è morta” ti sembra molto più irreale di quanto non possa sembrare il fantasioso soggetto di un romanzo; è molto più sensato credere che Sara, la protagonista di questo libro, sia reale, e che più che un romanzo si tratti della descrizione di un fatto realmente accaduto, che non accettare che la creatrice di Sara sia morta. Perché? Perché non può mai morire chi consegna ai lettori dei personaggi destinati a vivere per sempre. Perché chi crea è sempre più vivo di chi è stato creato.

Un’esperienza mistica

Ma chi è Sara?

È un’adolescente, una ragazzina che, in compagnia della cuginetta venuta a passare da lei in Sardegna le vacanze estive, si trova a vivere – da un momento all’altro – un’esperienza mistica che la avvolgerà e la trasformerà completamente. Di tutto ciò, la sua cugina senza nome (ma nella quale credo si possa veder riflessa proprio la coscienza dell’autrice) diverrà l’agiografa e la raffinata descrittrice. Raffinata perché? Perché proprio attraverso queste descrizioni, che diventeranno sempre più introspettive, pagina dopo pagina, sarà facile cogliere non solo il preciso taglio autoriale di chi di chi scrive dietro il velo diegetico della comprimaria, ma anche la profondità di analisi che – trama o non trama – viene fuori da certe sfumature, certi interventi di pensiero capaci di rivelare la verità del fenomeno umano ben oltre la finzione romanzesca.

In tutto ciò, e per tutto ciò, Sara incarna la duplice funzione letteraria di speculum e di medium; nel primo caso è “semplicemente” il personaggio a cui succede il fatto attorno al quale si dipana tutto l’intreccio narrativo (e in questo caso le descrizioni su di lei sono descrizioni sul personaggio, e dunque sulla storia in generale); nel secondo caso la ragazza è segno narrativo mediatore di una realtà che la trascende o, per meglio dire, la prescinde: ciò che ci viene detto su di lei diviene ciò che viene detto su di noi; vi è un momento – ed è quello in cui ciascun lettore si chiede come avrebbe reagito se il fatto fosse accaduto a lui – in cui Sara diventa potenzialità espressiva ed esecutiva di ogni possibile variabile umana.

C’è un accadimento, un fatto, che è quello descritto nel romanzo, e poi ci sono gli infiniti universi delle possibilità da questo evento scatenantisi, che riguardano l’orizzonte d’esperienza legato ad ogni lettore che sceglie di operare il (necessario) transfer letterario tra lui e la protagonista. Naturalmente si può scegliere di trasferirsi anche nella cugina di Sara, o in tutte e due! L’ideale sarebbe che due persone leggessero questo romanzo insieme, scegliendo quale personaggio essere, e sincronizzandosi sui tempi di lettura. E che poi, al termine di ogni capitolo, si incontrassero per parlare e confrontarsi su come avrebbero reagito se, trovandosi al posto di Sara o di sua cugina, fossero loro capitate le cose descritte nel libro. Ma questa è solo un’ipotesi idealizzata, causa degli effetti irradiati da un testo così originale ed efficace.

A proposito… non ci sono i capitoli. Solo degli spazi separatori tra le varie sezioni. Perché? Per questioni redazionali vicine alle scelte dell’autrice? Può darsi. Ma anche, penso, perché nella nostra vita non esistono capitoli (non nel senso che abitualmente riconosciamo noi lettori a questa parola) ma solo fatti che si susseguono senza soluzione di continuità. E in qualche modo il romanzo vuole aiutarci a “viverlo” più a che a leggerlo.

Un’anima inquieta e ribelle

Torniamo alla protagonista.

Sara è una ragazza non proprio allineata agli standard di questa Sardegna preconciliare così vagamente descritta (la Baiardo centra il suo obiettivo sui personaggi e lascia che il lettore si crei il proprio sfondo storico e geografico), ma nella quale, e all’interno del suo paese e della sua famiglia, ella spicca come un’anima particolarmente inquieta e ribelle: primo vagito di quegli Anni 60 che, da lì a poco, sarebbero insorti dai poster reclusi nelle stanzette dei ragazzi e avrebbero travalicato le mura di ogni casa italiana.

Cosa succede a Sara? Qual è il fatto che le accade?

Beh, si è parlato poco sopra di un’esperienza mistica. Ma ciò può voler dire tutto o niente. Ci si può trovare a sfiorare l’empireo anche solo guardando un papavero, o solo immaginando il canto di una sirena; ci si può sentire in paradiso anche solo intrattenendosi con una brezza argentata sull’onda del mare, o rimanendo attoniti davanti alla disarmante bellezza di un tramonto, che altro non è se non una promessa d’aurora. Il confine mistico è molto personale e occasionale: non permette facili determinazioni. C’è chi si è trovato a contemplare i massimi sistemi dell’essere mentre, magari, si riconciliava con la propria contingenza in un momento di… bisogno. No, non è possibile dire che l’esperienza mistica avvenga necessariamente così o cosà. Succede. È l’accadimento per eccellenza, il kairós imprevedibile e istantaneo del rapimento estatico, che non conosce banditori né indizi ma solo imboscate trascendentali e fulminee (circostanze e suggestioni che possono diventare incomprensibili). Per cui, in poche parole, capite – da soli – che dirvi come Sara abbia avuto un’esperienza mistica equivale a non dirvi nulla di ciò che – da soli – dovrete andarvi a leggere. Che forma e che materia ha avuto il rapimento mistico di Sara? In che modo si è determinato? In che modo l’ha raggiunta? La risposta a queste domande costituisce la materia del soggetto letterario in questione.

Ma ciò non basta ancora.

L’occasione in doppia soggettiva di un fatto

Perché, proprio quando meno te lo aspetti, capisci che il libro non parla tanto di questo, non è il resoconto narrativo di un’esperienza di tal genere quanto, piuttosto, l’occasione in doppia soggettiva di un fatto che, ad un certo punto, il lettore comincia a decifrare con la sua propria immaginazione e intelligenza. E lì avviene un altro fatto, ma solo per il lettore! Se il personaggio “Sara” ha la sua esperienza trasfigurante, anche il lettore potrà godere della propria, perché anche lui si troverà a dover ricercare dei contenuti di possibilità in ciò che, fino a quel momento, credeva essere una lettura del tutto diversa da quella che poi si rivela. Sara vede qualcosa e deve cercare di capire, e un po’ più avanti il lettore vede che tipo di libro ha tra le mani, e deve cercare anche lui di capire! È il preciso istante in cui il lettore vorrebbe non più identificarsi con Sara, ma poterle parlare. Il dramma sarà che Sara (scusate il bisticcio di parole) non potrà ascoltare i suggerimenti e i consigli che, da un certo punto in poi, noi stessi vorremmo darle!

Non leggete le recensioni

Il genere letterario prossimo è quello del romanzo, dunque; ma sulla differenza specifica circa il “tipo” di romanzo occorre fermarsi e riflettere. Perché questo lungo e appassionante racconto è un meraviglioso esempio di narrazione proteiforme (per usare un aggettivo usato dalla stessa Autrice, per descrivere la fantasia di Sara) in cui, peraltro, ciò che avviene succede anche se non accade! Ehm… mi spiego meglio. In questo romanzo, da un certo punto in poi, ciò che importa non è più ciò che realmente accade, ma come accada nei personaggi e nei lettori, a prescindere da tutto ciò che accade! Voglio spararla grossa: credo che a uno come Umberto Eco sarebbe piaciuto assai! Sì, è un romanzo con molte… funzioni.

Confusi, eh?

Ottimo. Perché certamente siete anche incuriositi.

Ero curioso anche io prima di cominciare a leggerlo. Un titolo così vago – La Santa – era troppo pretenzioso per non essere sufficientemente indiziario. Ho fatto bene, prima di darmi alla lettura, a non cercare alcuna recensione, anche perché ciò mi avrebbe tolto il piacere di scriverne una io. Le recensioni sono brutte cose. Non leggetele. Bisognerebbe che ci fosse una severa “legge per chi legge” la recensione di un libro: non poter poi leggere il libro. E viceversa! Ma si sa… non c’è giustizia a questo mondo.

Ingegnosa ironia e metamorfosi

I punti forti di questo libro?

A parte quelli che abbiamo già detto, ovviamente. Sono parecchi; davvero difficile che chi lo sfoglia possa annoiarsi. Magari, proprio nel momento in cui la storia non ti piglia (perché può sempre succedere), ecco che una frase ti scompiglia, ti attira, magnetizza la tua attenzione. Oppure, ci si può trovare a godere e condividere con i personaggi, o con l’autrice, quel filo di ingegnosa ironia che non lascia mai il testo, perché tutto ciò che è importante è quasi sempre anche predisposto ad una decodificazione ironica. Ancora, colpiscono moltissimo le descrizioni metamorfiche di Sara, il suo passaggio, la sua trasformazione. Sono concepite mantenendo il ritmo del verosimile, senza precipitazioni miracolistiche o surreali (ed è questo che ti fa sprofondare nella storia). Altro punto forte: la persistenza tangibile e corporea dell’invisibile, che come concetto qui racchiude non solo l’elemento metafisico, ma anche quello fisico di personaggi che ci sono ma non si vedono, eppure eccoli là, anche tra i lettori, almeno da un certo punto in poi.

E poi, sfumature poetiche rese potenti proprio dal non averne l’apparenza (ognuno ha la parte migliore di sé destinata a qualcosa; ognuno ha la parte migliore di sé promessa a qualcuno), e una certa sinestesia di fondo per cui riesci a vedere suoni, annusare colori, assaporare sentimenti e sensazioni e, naturalmente, conferire insospettabili incarichi alle cose che ti circondano (gli eccessi meteorologici smuovono sempre qualcosa, distruggono e ripuliscono, irritano i sicuri e ammosciano i superbi) o tentare di riconfigurare concetti soliti e abitudinari con nuove similitudini e immagini nelle quali può trovarti d’accordo (c’è un momento in cui la fame diventa fame del cervello, fame della coscienza, fame della paura e della follia da fame; è quella che distorce i tuoi diritti e facilità i diritti degli altri).

E tra tutti questi punti forti vi è proprio l’idea originalissima e perforante dell’autrice, questa Leila Baiardo che davvero è riuscita a regalarmi uno tra i libri più semplici e intelligenti che io abbia mai letto.

Non esiste un (solo) buon motivo per leggerlo.

Esistono un’infinità di cattive ragioni per non farlo.

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