Una scuola fatiscente, studenti inseparabili dai cellulari, genitori assenti e una prof che… prova a cambiare le cose. In “Domani interrogo” di Gaja Cenciarelli un affresco autentico della realtà scolastica di oggi, attraverso gli occhi di un’insegnante che cerca di andare oltre le lezioni e i compiti…
La scuola è quella sorta di universo parallelo di cui tutti hanno esperienza, parlano e discutono. È quel luogo speciale e, al tempo stesso, terribile in cui impariamo a relazionarci e confrontarci con gli altri e, attraverso questo, impariamo anche, almeno in parte, a vivere. È un luogo magico, ma spesso crudele e spietato, in cui l’incontro con la collettività può rivelarsi piacevole e costruttivo, ma anche doloroso e dannoso. È una palestra di vita, un luogo “privilegiato”, in cui guardare all’esistere e alla società, per interrogarli, analizzarli e, forse, comprenderli, onde imparare poi a stare meglio al loro interno, come individui e loro membri attivi.
Un anno in trincea
La scuola è spesso oggetto di studi e narrazioni (non solo letterarie), che ogni volta ne mettono in luce conflitti, fallimenti, limiti, obiettivi raggiunti e nuove sfide. Domani interrogo (240 pagine, 17 euro) di Gaja Cenciarelli, Marsilio editori, si inserisce in questa lunga tradizione e racconta l’anno scolastico di una docente di inglese in una scuola “di trincea” della periferia romana. Nulla ci è nuovo di quanto descritto in generale della scuola, nel romanzo: l’edificio scolastico e le aule sono, per lo più, “fatiscenti”; gli studenti, che frequentano la scuola innanzitutto come luogo di socializzazione, sono sempre più inseparabili dai cellulari e dalle loro applicazioni; i genitori spesso sono assenti; mentre i docenti si trovano sempre più frequentemente a lavorare e agire in realtà che li sopravanzano, cui non sono preparati, essendo per lo più sprovvisti di mezzi e strumenti per affrontarle, così, in definitiva, o soccombono e si adeguano, oppure la prendono sul personale e… provano a cambiare le cose, come cerca di fare la protagonista del romanzo, alter ego dell’autrice. Estremamente concreto e realistico è, dunque, il modo in cui questo mondo ci viene raccontato, grazie anche all’ironia, che accompagna il lettore dalla prima all’ultima pagina, e a una lingua viva, che non mistifica né occulta la realtà cui si ispira.
Non limitarsi a fare il proprio mestiere
Gaja Cenciarelli ci racconta, infatti, tutto ciò che può accadere a un’insegnante (e fra un’insegnante e i suoi studenti), nel momento in cui sceglie di non limitarsi a fare ‘il proprio mestiere’: entrare in classe, spiegare, assegnare i compiti e tornare a casa, ma decide di andare oltre, quasi azzerando le distanze fra chi è dietro la cattedra e chi, invece, è dietro un banco. Ne nasce un affresco autentico di che cosa voglia dire stare realmente in classe con ragazzi e ragazze, oggi, trovandosi inevitabilmente ad avere a che fare anche con il mondo che essi portano con sé: i problemi legati all’adolescenza e alla crescita, quelli derivanti dal contesto familiare e sociale, in cui si muovono e vivono. È la scuola vera quella raccontata da Cenciarelli, le fragilità che mette a nudo, prime fra tutte quelle di chi insegna, sempre in bilico fra l’euforia dello scambio e dell’interazione con giovani vite e l’incessante senso di inadeguatezza che quella relazione comporta, sono reali, come pure i conflitti, il disagio, la subalternità che la scuola assume, specie in alcune realtà, in cui si trova in prima linea (e spesso in trincea) ad agire, senza averne i mezzi materiali, gli strumenti idonei, senza essere adeguatamente supportata dal sistema politico-istituzionale e dal tessuto sociale, cui appartiene e, inevitabilmente, fa riferimento.
Né eroine né martiri
Ad ogni riga, in ogni pagina, il lettore, preso abilmente per mano dall’autrice che, con ironia e senza retorica, gli fa conoscere gli straordinari ragazzi di 5ªA, cui si è affezionata (e anche il lettore si affezionerà), non può non cogliere la frustrazione, la rabbia, la voglia di riscatto e cambiamento, la denuncia che ne emergono.
La scuola potrebbe fare la differenza, sempre e comunque, e svolgere una funzione decisamente positiva in qualsiasi contesto sociale essa operi; a maggior ragione potrebbe essere determinante nelle realtà più delicate e sensibili; eppure, spesso essa delega la sua incisività ed efficacia alla ‘buona volontà’ e alle scelte coraggiose, e personali, di singoli docenti e dirigenti che poi, quasi fossero “doni” o “premi” elargiti dalla dea bendata, toccano in sorte solo a alcuni studenti e famiglie, decisamente fortunati. La scuola, tuttavia, non ha bisogno di eroine o martiri, ma di una società che seriamente creda e investa in essa, garantendone l’operato.
Di scuola si parla spesso e, forse, addirittura troppo, ma non si è ancora fatto il necessario per renderla davvero efficace. Domani interrogo ce lo (di)mostra senza esitazioni o dubbi.
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