Michela Murgia: umanità, intelligenza, pensiero, immaginazione

Un ricordo personale di una “groupie” di Michela Murgia. Mai nascosto l’ammirazione e l’affetto viscerali per lei. Mai compreso le antipatie, i vilipendi, gli affondi di cui è stata oggetto

Michela Murgia se n’è andata nell’altrove gioioso dal quale – sono certa – veniva la incredibile luminosità del suo sguardo.

Affronto la difficoltà di scrivere questo doveroso elogio funebre con il dubbio che ciascuna delle parole versate oggi per commemorarla trasformino la sua complessa eredità in luoghi comuni della cultura italiana da sgranare, a fini decorativi, nelle conversazioni salottiere.
Rimanere su un piano personale, dunque reale, raccontando ciò che Michela Murgia ha rappresentato per me, credo sia l’unica possibilità per affievolire tale effetto tassidermico.

Due incontri

La prima volta che ebbi modo di interagire con lei fu nel 2018 a PordenoneLegge, dove presentava L’inferno è una buona memoria. Visioni da «Le nebbie di Avalon» di Marion Zimmer Bradley (Marsilio). A dispetto della lunghissima fila al firma-copie, affabile, ebbe la bontà di dedicarmi qualche minuto. Il secondo incontro fu anche più prezioso. Avevo accompagnato di malavoglia mio marito a Milano. Mi aggiravo sola per la città, in attesa che lui si liberasse dall’impegno di lavoro, frustrata dal mio irragionevole grigiore. La scorsi da lontano. La chiamai e lei mi regalò il suo bellissimo sorriso, immortalato in una foto di noi due, che conservo tra i memorabilia di riguardo.
Non ricordo, invece, quando sono diventata, metaforicamente parlando, una dei suoi fillus de anima, una delle figlie, cioè, ri_generata dalla forza propulsiva della sua scrittura, del suo pensiero, delle sue coerentissime azioni.
Mi folgorò con Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria (Einaudi), nel quale offrì una inconfutabile prova di saper padroneggiare con estrema destrezza, lucidità, progettualità le parole.
Accabadora (Einaudi) mi convertì, definitivamente, in una sua groupie. La carica di umanità che trasuda il romanzo non poteva lasciarmi insensibile alla forza dell’intelligenza empatica della scrittrice.

L’apertura verso il mondo digitale

Ho seguito con grande curiosità la gestazione sui social di Chirù (Einaudi). L’apertura verso il mondo digitale di Michela Murgia è stato un altro elemento che ha alimentato la mia fascinazione: Lei è sempre stata all’altezza dei tempi, anzi avanti. Come saggista, infine, non mi ha mai delusa. Ave Mary. E la chiesa inventò la donna (Einaudi) fu un modo trasversale, straordinario per introdurre i temi femministi.
Ampissimo, infine, l’orizzonte esplorato insieme a Chiara Tagliaferri, attraverso i ventidue episodi del podcast Morgana.
Non ho mai nascosto l’ammirazione e l’affetto viscerali per Michela Murgia. Così come non ho mai compreso le antipatie, i vilipendi, gli affondi di cui è stata oggetto.
Considero un immenso privilegio essere stata sua coeva. Privilegio averla incrociata personalmente. Privilegio aver goduto dei suoi insegnamenti e aver potuto ispirarmi a lei. Umanità, intelligenza, pensiero, immaginazione, proprietà di parola. Tutto di questa grande e libera pensatrice ho sfegatatamente ammirato.
Grazie di tutto, Michela.
Sei volata via nella notte delle stelle. L’Accabadora ha scelto quella giusta per incastonarti nel firmamento a cui sei sempre appartenuta.

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