Non solo romanzi, ma anche poesia e raccolte di pensieri. Non sempre compiuti. Di contemporanei e di classici (non necessariamente con i loro titoli più universalmente noti). Ecco i suggerimenti di lettura (attenzione, sono 7+1) di Carmen Verde, autrice rivelazione di “Una minima infelicità” (ne abbiamo scritto qui). Tutti gli altri consigli di questa amata rubrica li trovate qui...
“Il primo uomo” di Albert Camus (Bompiani), traduzione di Ettore Capriolo
Albert Camus muore in un incidente stradale il 4 gennaio 1960: ha con sé il manoscritto di un romanzo non ancora concluso, a cui ha già dato il titolo: Il primo uomo. La storia è presto detta: Camus (o meglio il suo alter ego) torna ad Algeri sulle tracce del padre, morto quando lui aveva soltanto un anno e che perciò non ha mai conosciuto. Il romanzo è incompiuto, non sappiamo se e come Camus avrebbe parlato di suo padre, ma quel che leggiamo è uno straordinario atto d’amore nei confronti della madre. Analfabeta, sorda per una malattia che l’ha colpita in gioventù, la donna vive facendo le pulizie e parla poco (sia perché non sente, sia perché ha poche parole a disposizione). A lei Camus è legato da un rapporto di struggente tenerezza, frustrato al contempo dalla difficoltà di confidarle le sue aspirazioni, di parlarle dei suoi studi, dei suoi interessi… Tornando ai poveri luoghi della sua vita e raccontando la sua infanzia e la sua adolescenza, Camus dedica alla madre, ai suoi silenzi, alla sua nobiltà d’animo, il suo ultimo romanzo. E la dedica è la più bella di tutti i tempi: “A te che non potrai mai leggere questo libro”.
“Proleterka” di Fleur Jaeggy (Adelphi)
Proleterka è il nome della nave su cui viaggiano Johannes e sua figlia. Sappiamo dall’inizio che per loro è il primo viaggio (“e sembra l’ultimo”). Come nel Sanatorio Berghof de La montagna incantata, la vita a bordo è scandita dai pasti, e da brevi tappe che affievoliscono le energie dei passeggeri, sempre più stremati. Non la salita alla montagna, ma la navigazione su un mare piatto e morto (una sola piccola tempesta all’inizio sarà subito soffocata dalla calma) è la metafora della formazione della figlia di Johannes, che sulla nave, grande incubatrice della malattia del padre, conoscerà l’amore: senza emozioni, carnale come la malattia e, come la malattia, organico, vergognoso, colpevole. Il passato è raccontato al presente, in un tempo narrativo non lineare, perché, come scrive Jaeggy, “la Proleterka circumnaviga il tempo”. Auflosung è la parola chiave, scritta proprio alla fine del programma di viaggio. “Che significa anche: dissoluzione.”
“L’asso nella neve” di Anna Maria Carpi (Transeuropa)
Splendida raccolta di poesie uscita nel 2011 e che, colpevolmente, io ho letto soltanto anni dopo. Gianni Montieri scriveva: “Aprirlo tra un decennio sarà come farlo per la prima volta”. Decine e decine di volte ho aperto L’asso nella neve come fosse la prima volta. Le poesie di Anna Maria Carpi sono ‘mie’: coincidono con me, mi fanno sentire meno sola. Questa è la prima della raccolta, giudicate voi.
“Il mio cuore ha l’accesso stretto / il sangue non ci passa facilmente / o rigurgita o rimane dentro, / così gli altri non sanno / che passione ho per loro / che potrei / fermare anche gli ignoti per la strada / e dirgli / tutto quello che ho dentro e non mi passa – / e sarebbe la grazia.”
“Gli imperdonabili” di Cristina Campo (Adelphi)
Cristina Campo, o della perfezione: si intitola così la postfazione che firma Guido Ceronetti a Gli imperdonabili. Nella sua vita Cristina Campo – che mai scrisse un romanzo e nemmeno un racconto – inseguì la perfezione al punto da arrivare a scrivere quasi niente (e lei diceva: “Avrei voluto scrivere ancora meno”). Qui, tra le tante cose, racconta della sua ammirazione per Chopin, nella cui musica l’amore, il lutto, l’abisso, la notte, tutto è racchiuso. E tutto è disciplina del corpo: “flettere il polso almeno seicento volte, irrobustire l’articolazione del quarto dito”. Viva Cristina Campo, mia maestra di disciplina corporale e spirituale.
“Quaderni di tutto e nulla” di Macedonio Fernandez (Prospero), traduzione di Irina Baijni
Centocinquanta pagine, ma ci vuole tempo per leggerlo bene. Si tratta di una raccolta dei pensieri che, senza alcuna pretesa di pubblicazione, Macedonio Fernandez – scrittore di culto per Borges, che lo considerava un genio – appuntò durante tutta la sua vita in una trentina di quaderni (e in innumerevoli fogli sciolti). Aforismi si potrebbe forse definirli, ma non sarebbe esatto. La traduttrice e curatrice del volume Irina Bajini li chiama ‘frammenti’ e a me pare la definizione più giusta: i frammenti sono per loro natura incompiuti perché, tra un frammento e l’altro, potrebbe trovare spazio un nuovo frammento, e tra questo e quello di prima un nuovo frammento, e così via all’infinito. La più piccola delle cose – aggiungo io, ricordando l’intuizione folgorante di San Francesco – contiene l’infinito.
“Appunti 1942-1993” di Elias Canetti (Adelphi), traduzioni di Renata Colorni, Gilberto Forti, Furio Jesi, Ada Vigliani.
Per lo stesso motivo, consiglio gli Appunti di Elias Canetti, la più lussuosa delle letture. Rispetto ai pensieri di Macedonio Fernandez, gli Appunti prendono più spazio sul comodino (quasi novecento pagine). Entrambi degni di stare accanto ai ‘Saggi’ di Montaigne.
“Perturbamento” di Thomas Bernhard (Adelphi), traduzione di Eugenio Bernardi
Com’è Perturbamento? mi chiede un’amica. ‘Fa male’, vorrei rispondere, e invece dico soltanto: ‘Bello’. Ho una propensione per i libri che parlano di malattia, forse perché è una delle prime cose che ho conosciuto al mondo. La malattia che tutti spiegano e che nessuno capisce davvero, che si annida in ciascun essere umano e si palesa con i suoi tempi. Thomas Bernard inizia a scrivere in sanatorio, dov’è ricoverato a diciotto anni (pochi mesi prima, in ospedale, gli avevano già dato l’estrema unzione). Trama di Perturbamento? Un medico condotto fa il giro dei pazienti, seguito da suo figlio. Ogni volta che la porta di casa di un ammalato si apre sentiamo puzza di morte, e di consunzione, e di miseria senza fine. Visiterete case e ascolterete monologhi in cui tutto è naturale e insieme straordinariamente innaturale, com’è la vita per Bernhard.
“Dizionario dei luoghi comuni” di Gustave Flaubert (Adelphi), traduzione di J. Rodolfo Wilcock
Nella sua gustosa prefazione, Wilcock scrive che Flaubert era affascinato dalla stupidità. (Chissà se Thomas Bernhard aveva letto questo Dizionario, lui che diceva che la vita è una serie di sciocchezze. Qui scopro le carte: tutti i libri che consiglio sono collegati da un filo invisibile). Quando Flaubert improvvisamente muore, nel marzo del 1880, lascia sulla scrivania molti fogli sparsi tra cui, abbastanza rifinito da potersi pubblicare, Dizionario dei luoghi comuni (anch’esso incompiuto). Ne trascrivo una sola voce: «Estate: sempre eccezionale».
Buone ferie.
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