Un viaggio letterario d’estate, in Sicilia, con l’aiuto di alcuni grandi autori di questa terra. Uno sguardo lontano dal mare, un’Isola eterna Itaca, lontana dalla Sicilia smussata e addolcita di certa narrativa di spiagge adamantine, e tonnare diventate resort e trattorie…
C’è un momento, d’estate in Sicilia, dove il silenzio non dà ristoro. Il nostro viaggio può iniziare da questo tempo che comprende troppo spazio, da questo spazio senza tempo. Ricordo un celebre passo de Il Gattopardo dove l’estate siciliana viene descritta come un ininterrotto mezzogiorno di aridi cieli caldi, da maggio ad ottobre. Dobbiamo perdonare a Tomasi queste visioni disperate, funzionali alla sua percezione di una terra immota. E del resto è spesso così nell’idea di molti di noi, una terra sempre in estate quella isolana. Un’idea archetipica che mi spinge, per confutarla o anche per confermarla, a proporvi un viaggio letterario d’estate, in Sicilia.
Sciascia contro i miti consolatori
Può sembrare strano ma, tra le sue prime prove di scrittura, Sciascia ci ha consegnato una intensa raccolta di poesie. In verità è abbastanza comune che i primi tentativi di confrontarsi con la creazione letteraria siano legati alla forma poetica, ma anche in versi Sciascia era già sé stesso, intento a combattere facili miti consolatori:
…le ninfe inseguite qui non si nascosero agli déi; gli alberi non nutrirono frutti agli eroi. Qui la Sicilia ascolta la sua vita.
Così si chiude la lirica La Sicilia, il suo cuore, che dà il titolo all’unica sua raccolta di poesie, del 1952: c’è un luogo dove l’acqua non disseta, le fronde non leniscono la cattiveria del sole meridiano, dove non ci sono voci nei boschi e spesso non ci sono neanche, i boschi. L’uomo siciliano ha questa identità di dolore, di pena senza rifugio. Sono i temi che troveremo in tutta la sua produzione, qui anticipati in versi asciutti e taglienti.
Piccolo e il mare specchio irredento
Vorrei ospitarvi durante il crepuscolo di agosto, cari lettori, vi porterei a guardare il cielo denso come se fossimo a prua di un vascello maestoso: così appare il mondo siciliano lontano dal mare. Ma lo so, a voi forse interessa di più un tramonto sul ciano delle Eolie. In fondo avete ragione, la Sicilia esiste solo perché si specchia sul mare:
Su la rena onda dopo onda la marina lontana forse suona una notte
in cui riemergono dalle profondità sull’errante pianura
le luci fuggitive dei tesori che i navigli salpati alle speranze dell’Isole Felici dispersero sull’acque.
Sono i baluginanti versi di Lucio Piccolo a cui ho pensato subito, appena ho immaginato la Sicilia di mare. Ma anche qui, se ci pensate, pare sempre uno sguardo che non è di complicità, il mare resta uno specchio irredento, uno sprazzo. A me il mare fa troppa paura, lo confesso, è il mare del distacco ma, del resto, è sempre così per un isolano: da Ulisse in poi, il mare è addio oppure, solo per gli eroi, ritorno. Può ancora la Sicilia essere eterna Itaca? Per molti aspetti sì, tanti non sono mai più tornati, o quando tornano non sono più loro, come in un viaggio interstellare, sono più giovani, o più vecchi, hanno esplorato insomma mondi diversi. Ma siamo tutti un po’ stanchi di questa diversità. Ci piacerebbe, come in certa letteratura di consumo, nuotare in acque purissime, vivere in una Sicilia che non sia altro che evasione, libertà, oblio. Ma è questo lo scopo della letteratura? Addolcire, smussare, dimenticare? Forse serve anche questa letteratura fatta di spiagge adamantine, purissime, di tonnare diventate resort e trattorie?
Gentili lettori, perdonatemi, vi avevo promesso un viaggio d’estate nella Sicilia letteraria, e allora proviamo a continuare.
Quasimodo e la grazia nella Sicilia inospitale
Si sta facendo buio mentre scrivo, in lontananza, pur essendo luglio, sento pochi rumori, qualche verso solitario, voci di ragazzi che hanno finito la scuola. Vado fuori e cerco di mettermi in ascolto, più delle lontananze che dei suoni vicini. Incontro un uomo che cammina con il suo cane, mi guarda e mi dice: “sente che odori? È il filadelfo, gli ultimi fiori che hanno resistito al caldo, in queste sere mi fanno sognare la mia adorata”. Avvicinandosi i fiori al viso, come ad abbracciarli, cita a memoria: «Già sulle rive dello Xanto ritornano i cavalli, gli uccelli di palude scendono dal cielo, dalle cime dei monti si libera azzurra fredda l’acqua e la vite fiorisce e la verde canna spunta».
È Alceo nella traduzione di Quasimodo dai Lirici Greci. Quel Quasimodo sempre in una vertigine tra amaro sentimento del tempo e incantata e anche ingenua nostalgia. Molti gliela rimproverano, questa supposta irresolutezza, finendo appunto per apprezzarne il solo lavoro di traduzione, sicuramente straordinario. Ascoltando queste liriche sembra che la grazia possa esistere anche nella nostra Sicilia accagliata, inospitale. Le acque libere sgorgano, i canti nei campi risuonano anche qui. Già, i campi. In estate quaggiù sono le distese di grano a illuminare il cielo, e non viceversa. Ho sempre pensato che i culmi del frumento fossero i soldati della madre terra, indomiti, coraggiosi, in schiere imbattibili. Sono tutti fratelli e invitano alla fratellanza, parola eretica da queste parti.
Il volto inesorabile del tempo
E allora rimane Il Gattopardo di cui parlavamo all’inizio il testo dove si trova più icastica l’immagine classica dell’estate siciliana, amplificata del resto dalla trasposizione cinematografica, immersa in ogni momento nella caligine dello scirocco. Eppure vorrei riandare una volta ancora a Quasimodo, stavolta poeta e non traduttore.
“Non ho più ricordi, non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,”
Sono versi di Quasi un madrigale, da La vita non è sogno, la raccolta del 1949. Siamo nel periodo più compiuto della produzione quasimodiana.
Nessuna memoria, nessuna proiezione, né nel passato né nel futuro. Il volto inesorabile del tempo è il più autentico lascito dell’estate del sud (che anche quando Quasimodo descrive i paesaggi del nord li immagina forse siciliani). L’infinito bianco meridiano illumina il nostro sconforto più che la gioia, le sconfitte più dei guadagni.
La Sicilia sogna, d’estate, e nel sonno vede la verità, forse sconfiggendo per un breve istante il proprio scetticismo e scoprendo che il buio è chiaro più del giorno.