Il secondo romanzo di Dario Ferrari, “La ricreazione è finita”, ha lasciato il segno. Il suo autore, in questa videointervista, spiega genesi e motivi di un’opera in cui si affrontano gli anni di piombo “con uno sguardo trasversale, sghembo”. E difende orgogliosamente “un punto di vista provinciale, attraverso cui si può raccontare l’universale…”
La ricreazione è finita (469 pagine, 16 euro) di Dario Ferrari, pubblicato da Sellerio, è uno dei romanzi rivelazione dell’anno, applaudito dalla critica. Un libro che ha come protagonista un vitellone orgogliosamente incompiuto, degno di un romanzo di formazione… tardiva. Un libro (ne abbiamo scritto qui) che è anche campus novel (impietoso contro tic, idiosincrasie, aspetti grotteschi e dinamiche perverse del mondo universitario) e romanzo storico sugli anni di piombo. C’è infatti, una storia nella storia, ambientata durante gli anni Settanta che, rivela Dario Ferrari, era in realtà il nucleo originario del volume. “Ho cominciato a scrivere – osserva Dario Ferrari, in questa videointervista – cercando di fare chiarezza su questi anni che per me erano abbastanza oscuri, non capivo bene l’asimmetria tra la volontà di cambiare il mondo in meglio e il sangue sparso per le strade, non comprendevo come mai da certe premesse di miglioramento collettivo gli esiti fossero stati così disastrosi. Non essendo uno storico e nemmeno un testimone, ho deciso di raccontare quegli anni con sguardo trasversale, sghembo…”. Ci sono poi tanti altri temi e motivi tra le pagine di questo romanzo, che incarna anche uno spirito orgogliosamente provinciale, “Rivendico per il mio modo di vedere e raccontare il mondo – chiosa Dario Ferrari – la prospettiva dalla periferia e dalla provincia che permette di avere una lente, attraverso cui mi interessa narrare una storia. Non saprei raccontare una storia metropolitana, ho bisogno della provincia. Dalla provincia si può raccontare l’universale…”.
Qui la nostra videointervista integrale (riprese e montaggio di Lucia Porracciolo), buona visione