Essenziale e assorta o, più spesso, vibrante la voce di Iolanda Cuscunà nel suo esordio poetico, “Tace l’umano”. Dall’esterno alle profondità più intime, i versi tra rassegnazione, passione e attualità
Tace l’umano (112 pagine, 13 euro), pubblicato da Nous, è l’esordio poetico di Iolanda Cuscunà, libraia appassionata di poesia, che vive a Catania. Il corpus dei testi, racchiuso tra la vivace Prefazione di Giovanna Giordano e la Postfazione complice di Enzo Cannizzo, raccoglie 70 poesie, suddivise in 6 sezioni e diverse per temi, scelte formali, estensione e linguaggio. Alla fine della lettura si ha tuttavia la sensazione di avere percorso comunque un itinerario, benché non rettilineo, guidati dalla voce di volta in volta essenziale e assorta o, più spesso, vibrante dell’autrice.
Una città
Il sipario si apre con la sezione Città|Mondo|Caverna (15 poesie) su uno spazio urbano, soggetto, non fondale, ritratto nei suoi aspetti contraddittori, vitali e di abbandono, La città sporca / di odori e di parole / vomita la vita / agitata nelle strade. Una città mostrata quasi sempre nella luce violenta dell’estate, col caldo, con gli incendi nei dintorni, il flusso indifferente dei turisti e un’umanità di emarginati, ora presente di scorcio, corpi stesi con i panni / sotto i portici del centro, ora ripresa in azione, Parla senza senso / il dolore che nessuno vuole / ascoltare: ubriachi, pazzi, immigrati oppure, più comunemente, qualcuno che piange al tavolo di un bar.
Il grembo materno
Lo sguardo tutto proiettato all’esterno e all’oggi si rivolge al sé stesso più profondo in Grembo|Origine|Archè, la sezione più estesa (18 poesie): tema portante è la maternità, attraverso i poli dell’essere madre e dell’essere figlia, intrecciato a quello della poesia. La memoria è ciò che resta di odore e carne (e corpo, nudità): termini o concetti centrali, fin dal testo di apertura, e ripresi più volte a conferma della forte attenzione alla corporeità e alla gestualità. Il processo di rispecchiamento e di rovesciamento madre-figlia, preannunciato nella dedica della raccolta, A mia madre / la mia bambina, appare per primo in Scrigno delle tue attese, fra i testi più suggestivi, che si conclude così: L’incanto di uno specchio / te in me. / Lo scrigno ora è vuoto / il riflesso sconosciuto. È un processo che da una dimensione personale si estende a quella più ampia, di tutti: Resteranno i gesti sulle carni dei nostri figli […] Siamo la memoria del mondo che dimentica / e ripete all’infinito un dolore impresso. Il legame madre-poesia si affaccia nella sequenza ritmica di Si eredita la follia, che si chiude con i versi Ho ereditato […] la poesia. // La tua vita / è nella mia. Sull’attività poetica l’autrice torna peraltro più volte sia in questa sezione che in seguito. A metà esatta di Grembo|Origine|Archè troviamo Sono di agosto le mie carni, molto più che un frammento autobiografico in versi: una sorta di mitopoiesi personale, un oroscopo esistenziale ed espressivo: […] Ho rotto le acque con un calcio / famelica di vita. // Mi sono fatta strada / tra le cosce di mia madre / con furia e con dispetto. […] sono venuta fuori urlando / calda di grembo, rossa di sangue. Il tema della maternità viene sviluppato in chiave viscerale, concentrato nell’evento concretissimo (e non per questo meno simbolico) del parto: i precedenti te in me… la tua vita nella mia assumono ora un’accezione quasi letterale, con i connotati della naturale, inevitabile drammaticità insiti nel parto, evidenziati con un espressionismo riscontrabile nei versi riportati. I termini sangue e cosce ritornano più avanti in Il sangue / che mi scorre tra le cosce / appassisce / i fiori sul terrazzo / gocciolano / petali stanchi / di malia / con l’ambivalenza data dall’uso transitivo (a scelta) di appassisce oppure di gocciolano. Fiori e rosso (coi versi finali squarcio della mia carne / sanguina) sono presenti anche in Il collant si è sfilato, sia pure in forma analogico-simbolica. Il discorso sul femminile condensato nella sezione (e che però, a guardar bene, circola nell’intera raccolta), assume in questa seconda parte una connotazione fortemente fisica, corporale, con i riferimenti espliciti – letterali e metaforici – al parto e al mestruo. Mi piace a questo punto credere che la conchiglia a spirale disegnata sulla copertina sia un’immagine simbolica del grembo materno, del sesso femminile, o comunque che possa anche rimandarvi.
Tra desideri e figli
Ci si stacca da Grembo|Origine|Archè per dirigerci in un Altrove (la sezione seguente, 10 testi) rappresentato dall’Eros e dai figli. Come in precedenza e fino alla fine, non tutte le poesie possono ricondursi a un unico titolo-tema: le prime due, ad esempio, qui fungono da ponte, altre sono testi sulla poesia. Riferibili di certo all’ambito del desiderio sono Nell’incavo appena sotto (con un Eros fisico, languido e sensuale) e la poesia successiva, Lì mi sono persə / sulla tua bocca arresa / il mio nome appeso / all’arco di Cupido /, molto diversa dalla precedente per tono e forma metrica, al di là dell’uso dello schwa e dell’ambiguità che ne consegue. Subito dopo si affaccia il secondo nucleo tematico, con i versi iniziali costruiti sul gioco fonico-semantico di vita e di svitare: Il corpo dei miei figli / è una vita che si svita piano / dalla mia carne. A entrambi i temi potrebbero essere riferiti infine i versi della triste, arrabbiata o forse rassegnata, poesia conclusiva Per ogni cosa a cui mi abituo.
Un al di là linguistico
Con Terra|Glossa (16 poesie in dialetto, tradotte in nota) Iolanda Cuscunà (nella foto di Brunella Bonaccorsi) sembra riportarci, in un moto quasi circolare, anzi spiraliforme, a Grembo|Origine|Archè (sono peraltro le sezioni più estese). Un ritorno – dopo l’attraversamento dell’Altrove – sulla scena del materno in forma diversa: stavolta dal punto di vista linguistico, della madre-lingua, della lingua-madre e materna al tempo stesso. Vi si trovano l’amore-passione, l’amour fou, nella duplice fase di incanto, Pirdutu haju lu sennu / firnutu viru u munnu / ma intra a so manu / mi sentu arrusbigghiàri, e disincanto, perdita, nostalgia. E vi si trovano il buio, il pensiero della morte, il lutto: un controcanto dialettico alle sezioni iniziali (estate, luce, nascita, Eros…), a volte quasi puntuale come in Mi dissiru nasci! che sembra contrapporsi alla spavalda solarità di Sono di agosto le mie carni. E se, in Mi furrìanu nda testa, le parole creano confusione e insofferenza nel loro affollarsi in testa, atterrite al pensiero di uscirne, è anche vero che la parola consegnata alla poesia può sottrarre al silenzio della morte: È sgrusciu senza sonu / a morti / t’arrubbau i paroli / ma tu a futtisti / picchì i megghiu / cu cura / i sarvasti.
A conferma di questo moto spiraliforme, all’Altrove che seguiva Grembo|Origine|Archè corrisponde adesso un Oltre|Epèkeina: un al di là linguistico e sonoro, rappresentato da 3 poesie in spagnolo e 2 in francese (tradotte in nota). Situazioni intime, sospese, di crisi, di ricerca di sé, En esta calle / estoy buscando mi alma, un’inquietudine opaca, il dolore di un cambiamento Quelque chose ce soir. Colpisce che il primo testo, Quiero comer tu boca, riprenda l’immagine di qualcuno che piange, presente nella prima sezione in Passando ti vidi, trasposta dal tavolino di un bar all’interno di un tram.
Guerre e frontiere
In Tace l’umano, la sezione conclusiva (6 poesie), lo sguardo ritorna drammaticamente all’esterno: un mondo di corpi in fuga, qualcuno che affida il figlio a un soldato mentre esplodono le mine, ricorda che se ti ho lasciato / è perché tu sia libero oltre queste colline, la corsa verso un confine lontano, la libertà è un sogno. L’ho costruito piano per te, immagini di distruzione e sfacelo, da fine del mondo. L’unico esplicito riferimento alla guerra in Ucraina è nel nome di una città, Anche Gesù sceso dalla croce si nasconde nei sotterranei / di Kiev, ma alcuni testi potrebbero ugualmente riferirsi ad altre situazioni collettive della nostra contemporaneità, come i migranti e i profughi alle frontiere di Grecia e Turchia. Il movimento sembra essere tornato, quasi circolarmente, al punto del suo inizio, passando dai marginali e dai reietti urbani, il dolore che nessuno vuole / ascoltare, all’umanità sofferente di tutto un continente, del mondo intero, E ora che torna / il passato / sorride di pianto / e tace l’umano. L’ultimo verso si salda così al titolo stampato in copertina, dove la conchiglia spiraliforme può rappresentare anche il correlativo oggettivo delle voci che mormorano, si inseguono, urlano dentro queste pagine nel tentativo di ridare voce all’umano.
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