Dal Lago, il disagio esplosivo degli adulti che non lo sono

Domande, debolezze e voci di una generazione in “Estate caldissima”, romanzo di Gabriella Dal Lago. I componenti di un’agenzia di comunicazione – figli di un mondo al collasso, in cui è forse impossibile scindere vita reale e digitale – si ritrovano in una casa di campagna per lavorare a un progetto. E fanno tutti i conti con un senso di vuoto abissale…

La scusa è boccaccesca nell’accezione meno scontata del termine, quella cioè di un vincolo narrativo che prevede di radunare un tot di personaggi e portarli in un altrove per un periodo, occasione dalla quale scaturiranno delle storie. Ecco il trucco narrativo da cui prende vita Estate caldissima (176 pagine, 15 euro), nuovo romanzo di Gabriella Dal Lago pubblicato da 66thand2nd. Estate 2022, stretto nella morsa di un caldo insopportabile, un gruppo di colleghi di un’agenzia di comunicazione si ritrova in una casa di campagna per lavorare a stretto contatto e, prima delle vacanze, riuscire a mettere insieme una proposta da presentare a un cliente. Una copertina di riuscito impatto pop annuncia un romanzo che ha il pregio di cavalcare la scusante narrativa restituendo voci, fragilità, fallimenti e grandi interrogativi di una generazione diventata adulta senza esserlo. 

Un gioco tra sconosciuti 

Data la costrizione – un gruppo di persone radunato in un altrove – ci sono ovviamente delle regole stabilite e altre implicite, come il silenzioso adattamento reciproco al comportamento altrui che nasce con l’obiettivo di infastidire il minimo possibile e finisce per creare snodi e imprevisti. E poi c’è la scadenza: il lavoro durerà tutta la settimana secondo una tabella di marcia da rispettare per portare e termine la consegna. Via, si parte: il gioco è aperto. Sul tabellone ecco Greta e Gian, il bambino Leo, Lily la gatta, e poi Vic, Laura, Alma e Tommi. Sono colleghi di agenzia abituati ad avere a che fare l’uno con l’altra nell’ambito del lavoro quotidiano: quali effetti potrà creare sulle loro relazioni una settimana a stretto contatto, sotto una cappa di caldo avvelenato, sintomo pressante di una crisi globale? 

La dinamica di gruppo che si attiva a partire da questa serie di costrizioni è il sale del romanzo. Tutti sono sconosciuti tra loro e tali resteranno, ed è in questo spazio che si creano e alimentano rapporti e tensioni. Come ben sottolinea la voce narrante “sono in primo luogo sconosciuti a loro stessi, nonostante si siano visti dalla nascita nudi, in lacrime, in pigiama”: riusciranno a farsi capire dagli altri, aprire brecce e spiragli nella relazione? Vediamo ogni personaggio agire perché orientato a qualcosa che anela. Eppure tutti sono in qualche modo costretti, schiacciati dal peso di un mondo che grava sulla loro incapacità di agire, sulle loro abitudini, sulle loro cicatrici ricucite. Sono i figli di un mondo al collasso, una generazione che non è riuscita a crescere, a capirsi e a trovare un’identità in un mondo che si scioglie come cera sotto l’azione delle fiamme. 

Scorie di una generazione

È l’estate caldissima del 2022 e tutto è straniante, stretto com’è nella morsa di un caldo che sarà forse il più tollerabile da qui al futuro. La settimana di lavoro esplode in equilibri infranti, ruoli smontati, lampi di consapevolezza estrema che mettono in dubbio la quotidianità di ciascuno, e che vanno ricacciati per fuggire un senso di vuoto abissale sul quale si affacciano tutti. Per une generazione schiacciata tra i fasti di quelle passate e le angosce del presente e del prossimo futuro, “l’equilibrio è – infatti – sempre, una condizione provvisoria”. Eccoli i precari, i millennial, i cosiddetti creativi (dei quali, va detto per correttezza, anche chi scrive questa recensione fa parte): li si riconosce dall’indefinitezza con cui cercano di leggere e raccontarsi la propria vita. Ma la soglia tra l’identità professionale instabile e il vortice della realtà che accade intorno, e sul web, è labile: il lavoro è vita e viceversa, la sensazione di precarietà si estende a tutto e copre spazi, abbraccia persone, vanifica tentativi di ricerca. Esasperata, come il caldo dell’estate. 

Tra le scariche di serotonina degli smartphone e delle notifiche social, che restituiscono le età e il ruolo professionale dei personaggi in bilico costante tra la vita vera e il mondo dei creativi, la storia offre delle affinità con l’esplosione e l’esacerbazione dei rapporti reciproci di un esperimento come quello di Perfetti sconosciuti, film di Paolo Genovese che racconta una situazione di isolamento e un “gioco” tra persone con ruoli apparentemente definiti. Basta una piccola-grande costrizione, come la vita ravvicinata nella villa di campagna, tutti alla mercé di tutti, per portare a galla una rete di nodi, non detti e reazioni impreviste. La vita che si scontra e si riallaccia, gli egoismi lanciati nella bollente centrifuga di una situazione piena di tensioni, urgenze, scivoli e sudore, tutti contro tutti, quasi. Tutti estremamente soli, incompresi, rassegnati, immobilizzati. 

La danza dei personaggi 

L’occhio del narratore tiene in pugno con maestria gli attori sul tabellone di gioco in un’attenta danza tra un personaggio e l’altro di cui porta a esplorare i mondi interiori. Non è una voce narrante onnisciente e discreta, ma un occhio che si palesa, un periscopio in mezzo alla villa che monitora, ma soprattutto osserva l’evolvere della situazione, le fratture invisibili di ciascuno, i punti di fragilità, l’esplodere dei terremoti nelle relazioni reciproche. In questa esplorazione dell’umano trascina dentro il lettore, parlandogli alla prima persona plurale: ed è così che invita a volare sulla situazione e contemplarla. “Osserviamola, guardiamola”, dice della realtà in svolgimento sulla pagina. Non è complicità, ma un accompagnamento che  si muove a suo agio anche tra parentetiche e spiega che no, Leo non parlerebbe così perché è troppo piccolo, ma quello che intuisce, da bambino, è proprio ciò che il libro ci sta raccontando a proposito del suo pensiero e del suo agire. Le parentesi permettono di entrare nei meandri della storia, recuperando momenti del passato utili per mettere a fuoco il presente narrativo, oppure proiettano in avanti, anni dopo quell’estate caldissima. 

Il narratore molto particolare di questo romanzo interpreta, insomma, una realtà ingarbugliata e talmente avvinghiata sul suo stesso svolgersi da non permettere a nessuno di vederla per intero. Ciascuno affaccia a una finestra, reale o digitale, in forma di schermo, e nel ritaglio della cornice, limitato per sua natura e per impassibile egocentrismo, per la spinta dei desideri e delle paure, non vede l’insieme e nemmeno la realtà. Ammesso che da qualche parte esista, una realtà. 

Osserviamo quindi la casa dalla distanza; una casa in cui possono vivere, senza pestarsi eccessivamente i piedi, sette esseri umani adulti, un bambino e una gatta. Una casa che ora è per Gian uno spazio sicuro ma che un giorno – quando suo padre sarà morto, e con lui i suoi fratelli, e non ci sarà più quella generazione cuscinetto ancora in grado di fare da collante ai sogni e alle velleità sia dei propri figli che dei propri genitori – sarà un peso, una spesa inaffrontabile, una zavorra da lasciare andare per non affondare.

Dal baratro all’in mezzo

Basterebbe l’esergo tratto da Vita immaginaria di Natalia Ginburg ad anticipare le grottesche sensazioni, le risate amare affacciate su baratri, le ambizioni impegnate a intrecciare storie di fumo con i pensieri, contro una realtà che pulsa per il caldo, gli eccessi, lo stremo. Da un lato ci sono le ipotesi, le immagini del mondo che tempestano i pensieri, dall’altro una realtà che ruggisce la sua insopportabilità in forma di caldo appiccicoso e asfissiante. 

Tutta la narrazione è pervasa da una perplessità evidente che riguarda la separazione eventuale tra vita reale e digitale: forse è impossibile scindere le due facce di quello che è diventato un solo unico foglio, pagina bianca in un flusso inarrestabile che non è più fatto di cellulosa ma di pixel digitali, una “pratica quotidiana invischiata, strabordante”. Tanto da caratterizzare esistenze intere. Ogni creativo si è sentito dire e ha detto infatti che “non salviamo vite” e la generazione che si trova stretta nella morsa del digitale sa bene che sarà tutto dimenticato perché, in fondo, non ha importanza. Eppure sembra ormai impossibile fare a meno di guardare, leggere, scrollare schermi in cerca di qualcosa che spieghi la realtà. 

Racconti della fine che si respira tutt’intorno? Immagini di una vita adulta mai davvero raggiunta? Dove sta la realtà? È così distante da avvolgere nel bozzolo egoistico ciascuno dei personaggi, tanto da finire con il non vederla più, la realtà vera. Ma se il “gioco” tra sconosciuti viene inteso nel suo senso etimologico, ecco che diventa allora uno spazio, spazio di gioco, spazio di movimento: potrebbe assomigliare a un “in mezzo”, una forma di vita e “uno spazio di possibilità per un mondo nuovo” su cui riflette questo romanzo nella sua seconda parte, lasciando aperto lo spiraglio di una pagina nuova dopo un diluvio che ha un’aria biblica, infinita, e sembra far piovere a terra cascate di dubbi e domande, a ripulire l’asfissia di un tempo indeterminato. 

Estate caldissima si rivela così il romanzo di una generazione e del suo disagio esplosivo, in scena giovani adulti tormentati dalla continua domanda sulla propria identità, da tentativi di fuga e ripartenza, dall’ombra di una vita piena da abitare sempre in affitto, e forse un po’ abusivamente. Insopportabile, a tratti angosciante, eppure forzatamente abitale è il caldo anomalo che caratterizza l’estate del titolo, originalissima metafora del disagio complesso e incastrato di una generazione forse mai sbocciata. 

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