Un’altra madre di Cagnati, patologie più che sentimenti

Non c’è nulla di spensierato in “Giorno di vacanza” di Inès Cagnati, romanzo duro e poetico, una storia con un tragico climax, con azioni e pensieri, anzi divagazioni nella mente di un’adolescente infelice, a scuola e in famiglia. Un’esistenza misera in una famiglia patriarcale, tra rassegnazione e anaffettività… 

Tra i pochi frutti prelibati della pandemia di qualche anno fa possiamo annoverare la decisione della napoletana Ena Marchi di tradurre Inès Cagnati. La matriarca della letteratura francese in salsa Adelphi negli ultimi anni stava in plancia di comando dopo alcune storiche traduzioni di libri di Simenon, Kundera, Henri-Pierre Roché, Dai Sijie, qualcosa di Yasmina Reza. Le restrizioni sociali l’hanno in qualche modo portata a riscoprire Inès Cagnati e a far pubblicare Génie la matta (di cui abbiamo scritto qui e qui). Ed è stata l’ennesima operazione di successo, l’ennesima riscoperta di valore. Scomparsa nel 2007 settantenne, Inès Cagnati, non è stata particolarmente prolifica, con quattro titoli editi fra il 1973 e il 1990. Adesso tocca a un altro suo volume veder la luce in italiano. Ena Marchi è tornata dietro le quinte, e la traduzione di Giorno di vacanza (151 pagine, 18 euro) per Adelphi, romanzo d’esordio della francese, figlia di veneti, Cagnati, è stata affidata a Lorenza Di Lella e Francesca Scala, reduci da Yoga di Emmanuel Carrère.

Romanzo sociale sull’emarginazione

Chi si addentra nelle pagine di questo romanzo scritto in prima persona fa i conti con una spietata anatomia della rassegnazione, dell’emarginazione sociale e dell’anaffettività familiare. Bastano pochi squarci di prosa per essere scaraventati in una gretta società patriarcale, catapultati in un’arretrata campagna francese.

Penso a me e mi dico che nessuno mi vuole, nemmeno io. Allora provo compassione per me perché nessuno mi vuole, nemmeno io.

La protagonista è Galla, liceale a dispetto di tutto, soprattutto della famiglia d’origine, ha vinto una borsa di studio e prova a emergere. Galla, però, è sempre fuori posto, outsider a scuola, per sensibilità e abbigliamento, agli occhi di insegnanti e studenti, “diversa” in ambito familiare, impegnata com’è in un tentativo di riscatto. Una volta ogni due settimane, quattro ore in bici, lascia il collegio e torna alla casa dei genitori (un padre che quando non maltratta le donne della sua famiglia, impicca cani, e madre succube) e delle sorelle. Le miserabili esistenze di uno spaccato campagnolo, tra soprusi e privazioni, sono state sperimentate e testimoniate da Cagnati nelle proprie opere. Giorno di vacanza (che solo nel titolo può lasciare intravedere, erroneamente, ottimismo), intriso di dinamiche psicologiche, è soprattutto un romanzo sociale, magari formalmente atipico, con una prosa poetica nella sua asciuttezza espressiva, senza verbosità o aggettivi superflui.

La bici e la cagnetta

Come in Génie la matta il rapporto fra una madre e una figlia e una primordiale non edulcorata maternità sono i punti focali di una storia desolante, di assenza e violenza. In cui la giovane protagonista ha come punti di riferimento essenziali la propria bicicletta arrugginita – il mezzo che le consente una fuga da una vita che non vuole, che le permette di allontanarsi dalla zona delle paludi in cui vivono i familiari – e una cagnetta, Daisy, che in qualche modo finisce per personificare quanto di più vicino c’è a una madre, a dar corpo al sentimento di maternità, nel rapporto col suo cucciolo. La madre, debole e rassegnata tra le mura domestiche, nutre per Galla un amore complicato: si è sentita abbandonata e tradita dalla figlia, che a sua volta convive con un chiaro senso di colpa (non il solo), oltre che con inquietudine e solitudine. Patologie più che sentimenti, per come sono evocati, e nessuna consolazione per i personaggi di carta né tantomeno per i lettori…

… se ci rifletto a mente fredda, devo riconoscere che non mi sarebbe piaciuto per niente essere mia madre. Per niente. Non che io sia cattiva o altro, almeno non credo. Ma comunque, non mi sarebbe piaciuto per niente avermi come figlia. Perciò capisco che nessuno mi volesse, quando sono nata. Io stessa avrei preferito non nascere. È così triste tutta la mia vita, ed essere me. È talmente triste che avrei preferito non nascere e che fossero tutti contenti…

La conferma

Non c’è nulla di spensierato in questo Giorno di vacanza, mai titolo fu più, volutamente, ambiguo, in originale e in traduzione. È un romanzo duro e poetico, una storia con un tragico climax, con azioni e pensieri, anzi divagazioni nella mente di un’adolescente infelice, memorie, associazioni, idee e concetti reiterati ossessivamente. È la conferma di una scoperta felice, tardiva in Italia, un’autrice non laureata dal canone nemmeno in Francia, colpevolmente finita in un cono d’ombra. Si applaude qualsiasi cosa venga scritta da Ernaux, Houellebecq (vogliamo davvero considerare un libro il recente Qualche mese della mia vita?), si celebrano Modiano e Le Clezio. Ma Inès Cagnati a quelle latitudini, pur non considerandosi mai intimamente francese, non sfigura nemmeno un po’…

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