“Il testimone della sposa” ricorda ai lettori che grande scrittrice è Savyon Liebrecht. Una storia fra passato e presente, un bimbo e una giovane donna che si ritrovano a ventiquattro anni di distanza. La gran rivincita di una povera orfana, ma non un lieto fine assoluto…
Un ghost writer che non riesce a scrivere la sua storia più bella, una cenerentola che si riscatta. Israele-Usa e ritorno. Due grandi capitoli, fra passato e presente. Un colpo di scena che lievita lentamente, ma i lettori più scafati intercettano qua e là. Certe dinamiche e atmosfere che possono ricordare Il senso di una fine, gioiello esemplare di Julian Barnes. Una delle voci più rappresentative della letteratura israeliana, Savyon Liebrecht – non ancora abbastanza apprezzata alle nostre latitudini – torna a pubblicare col suo storico editore italiano, e/o. Ed è un’occasione, magari, per riscoprire tutta la sua precedente produzione. L’ultima sua perla può decisamente indurre in tentazione.
Protagonista lacerato
È una storia di riscatto e di rivincita, e dunque in qualche modo vive di un lieto fine, ma non completo, perché un amore che per mille ragioni sembra ed è impossibile non riuscirà a realizzarsi. Non è una favola, insomma, Il testimone della sposa (142 pagine, 17 euro), tradotto da Alessandra Shomroni e la cui voce narrante è affidata a un personaggio lacerato, diviso, che non comprende e non si comprende, segnato dal passato, sedotto dal presente, con un passato che rivive nel presente a distanza di ventiquattro anni.
… col cuore che batte mi chiedo dove sia casa mia. Sono stato sradicato troppo presto da Israele e catapultato troppo tardi a Los Angeles per “sentirmi a casa nel mondo”. Quando mi ritrovo a compilare un modulo in cui mi si chiede la cittadinanza ho un lieve tentennamento che supero subito e, come un impostore consumato, scrivo: statunitense.
Micha, colui che narra la storia e che nella prima parte è un bimbo, invece è nato e cresciuto in Israele. Ed è lui il testimone della sposa del titolo. La sposa, invece, si chiama Adela, ha quasi dieci anni in più di Micha: orfana, zoppa, occhiali dalle lenti spesse, finisce per sposare Moshe, zio di Micha, uomo dalla salute malferma, incapace di difenderla dalle angherie della sua famiglia, legata all’osservanza religiosa e alle origini persiane. La determinazione e la disperazione della donna, però, scriveranno una storia diversa da quella a cui sembra destinata…
Lingua scarnificata
Il ritorno di Micha a Tel Aviv, dopo due decenni e più, svelerà risvolti più sorprendenti di quelli che vedrà subito con i propri occhi; quel bimbo, unico a comprendere Adela e a offrirle mandorle, quando tutto congiurava contro quella ragazza imbranata, in qualche modo ci aveva visto lungo. Savyon Liebrecht riesce in poche pagine a prendere e portare via il lettore con una lingua piuttosto scarnificata e precisa.
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