“Tutte le nostre maledizioni” di Tamara Tenenbaum è un romanzo che prende di petto e critica dall’interno una comunità ebraica ortodossa di Buenos Aires. Ma non solo, è anche una storia di formazione e libertà…
Un romanzo a episodi, in cui la libertà di pensiero, la sfrontatezza e l’irriverenza sono il pane quotidiano, il biglietto da visita di una donna, che non è soltanto filosofa e femminista, ma anche scrittrice conclamata.
Tamara Tenenbaum s’era già messa in luce con La fine dell’amore. Amare e scopare nel XXI secolo. Adesso presenta una nuova opera, stavolta pienamente narrativa, forse non dirompente come il suo titolo più noto, ma per molti versi più interessante. L’irriverenza avrebbe fatto il solletico a quella degli esordi di Philip Roth che, in un altro contesto spaziotemporale, aveva fatto gridare allo scandalo Gershom Scholem, con tanto di paragone de Il lamento di Portnoy alla macchina propagandistica nazista. Tamara Tenenbaum – cresciuta a Buenos Aires, nel quartiere Once, dove era presente e forte una comunità ebraica ortodossa – in neanche otto pagine inanella frasi temerarie e terribilmente spassose allo stesso tempo:
Per qualche ragione mi è più facile riconoscere le brave persone quando non sono ebree. Gli ebrei mi sembrano molto più ingannevoli.
L’elettricista muore ancora dalle risate quando ricorda a mia madre la quantità di improperi antisemiti che ho detto quando mi ha spiegato il problema. Tipo che l’unico tempio che illumina è quello che brucia. O che avrei chiamato Al Qaeda per domandare se accettavano donazioni.
Una storia al femminile
Il nuovo libro di Tamara Tenenbaum, pubblicato come il precedente da Fandango, tradotto da Alberto Bile Spadaccini, è Tutte le nostre maledizioni (103 pagine, 15 euro), d’ispirazione autobiografica, sebbene non sia dato sapere quanto la pura invenzione abbia giocato un ruolo importate. Tra la determinazione della madre, rimasta vedova giovanissima, e la formazione della protagonista, che consiste anche nell’allontanarsi dal contesto religioso dell’infanzia (ad esempio con l’approdo a un liceo laico), i quadri che compongono questo breve romanzo confermano una netta presenza femminile tra le figure principali, con i maschi in disparte e comunque non decisivi. Paradossalmente, a cominciare dal padre, morto in un attentato, con tanto di indennizzo per la sua famiglia.
Lontano da casa
È un libro che è un allontanarsi dalla casa nel senso più ampio possibile («Tutto quello che guardi da molto vicino diventa una casa, e le case sono un orrore», si legge a pagina 84). Un libro che ci parla di possibilità e di libertà (la linguaccia della ragazza in copertina, in tal senso, dice molto…), con capitoli dai finali volutamente indefiniti, che magari si concludono con qualche bella frase a effetto.
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