“Nome in codice: Elitár I” è un reportage di Ariane Chemin che con onestà racconta Milan Kundera – complici alcuni sms della moglie – dalle origini ai giorni nostri. Nulla di morboso o scandaloso, una ricerca appassionata che non sorvola sull’iniziale adesione al comunismo e che non dimentica alcune controversie sullo scrittore ceco, ma che dà conto della sua grandezza e del suo volontario eclissarsi
L’apparenza e la smania di apparire non sono la misura del mondo per un inafferrabile classico come Milan Kundera, fresco novantaquattrenne, grande recluso della letteratura mondiale, fuori dai radar dei media da quasi quarant’anni. Negli ultimi lustri il mistero del grande scrittore ceco con passaporto francese ha rischiato di appassionare più delle sue opere. C’è un libretto pubblicato in Italia da una raffinata sigla, NR edizioni, e firmato da Ariane Chemin (nella traduzione di Francesco Maselli), che prova a far luce sul mistero Kundera. Niente morbosità, niente reportage dal buco della serratura, ma l’appassionata ricerca di una giornalista del quotidiano Le Monde con la cruciale ma discretissima – esplicitata sotto forma di sms – collaborazione di una testimone d’eccezione, la moglie di Kundera, Vera Hrabanková (seconda moglie, la prima Olga è stata praticamente cancellata dalle biografie ufficiali). Non solo moglie, ma un’anima affine oltre che gemella: «In Vera Kundera – si legge nel saggio di Ariane Chemin, Nome in codice: Elitár I (136 pagine, 16 euro), inizialmente pubblicato a puntate – risiede quel culto del dettaglio e quel modo di cogliere l’ironia involontaria delle cose che si ritrovano nei romanzi di suo marito».
Tallonato ovunque dalla polizia politica
Non ha coltivato più di tanto le etichette di oppositore al regime comunista di Praga e di dissidente, Kundera, sebbene si sia allontanato dagli ideologici furori giovanili, e sebbene sia stato costretto all’esilio e tenuto d’occhio a lungo dalla StB, la polizia politica del suo paese, che nei rapporti lo indicava col nome Elitár I (Elitár II era la moglie). Chemin racconta allori e successi di Kundera, come pure riserve del mondo culturale francese a proposito delle ultime opere e controversie (l’inserimento nella Pleiade, con tomi curati in tutto e per tutto dallo stesso autore; o la presunta delazione, nel 1950, ai danni di un uomo condannato a oltre vent’anni di lavori forzati: lo scrittore ha smentito la ricostruzione dell’avvenimento, ma la sua immagine ne è uscita a pezzi, probabilmente sbarrandogli la strada per il Nobel e impedendo un ritorno a casa). Più la critica transalpina ha cominciato a prenderlo di mira o a snobbarlo, a non considerarlo intoccabile come un tempo, più l’uomo si è ritratto, mettendo sempre davanti a tutto e davanti a se stesso l’opera, provando a scomparire dietro ai libri che ha scritto.
L’autoesilio a Parigi, la tentazione del ritorno
Pur vivendo nel cuore di Parigi si è sempre più eclissato, sempre più allontanato dall’establishment di Francia, forse perfino cullando l’idea del ritorno in patria, dove le sue opere sono state al bando per un lunghissimo periodo. Destino, contingenze, opportunità sembrano avere scelto diversamente, anche se i rapporti col proprio Paese d’origine sono ripresi e a Brno sono finiti biblioteca e archivi dell’autore de L’insostenibile leggerezza dell’essere. E anche se la Ville Lumiere «per usare un eufemismo, non incanta più Vera». Un reportage con comparse di spessore (da Mitterand a Gallimard), più interessante di tomi voluminosi, politicizzati, velenosi a tutti i costi. Un libro onesto, che non annacqua l’adesione giovanile al comunismo, l’abbaglio stalinista, e che tiene conto del culto dell’intimità via via sempre maggiore nei pensieri di Kundera, oltre che della sua instancabile attività letteraria e della sua mitica esperienza di docente nelle università di Francia.
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