Un bimbo, dal volto e dai sentimenti paralizzati, è il protagonista di “Zamir” il più recente romanzo dello scrittore turco Hakan Günday. Un autore feroce e intelligente che non fa sconti al mondo della cooperazione internazionale…
Pochi, pochissimi editori italiani possono vantarsi di avere nel proprio catalogo uno scrittore così giovane e così maestoso, poetico, eppure così diretto. Marcos y Marcos ha individuato prima di altri un autore celebrato in patria e amato e premiato all’estero, come Hakan Günday; ed è al suo terzo romanzo pubblicato, dopo A con Zeta (ne abbiamo scritto qui) nel 2015 e Ancóra nel 2016. Anche stavolta, sempre tradotto dal messinese Fulvio Bertuccelli, Günday non ha paura di scrivere una storia attuale e violenta, crudele. In A con Zeta erano in primo piano le solitudini di un ragazzo e di una ragazza, alle prese con ignoranza e fondamentalismi, in Ancóra un orfano di madre, passa la vita a subire violenze e a restituirle, diventando trafficante di migranti come il padre… C’è una frase del più recente libro di Günday che sembra ricollegarlo idealmente al secondo edito in Italia: «Quando si nasce all’inferno, si può evitare di diventare un demonio?»
Il male minore giustifica i mezzi
Anche nel nuovo romanzo, Zamir (377 pagine, 20 euro), Hakan Günday, racconta un bambino, sebbene lo “segua”, anzi lo fotografi anche nel corso della vita adulta. Appena nato, la vita di Zamir sembra appesa a un filo, per l’esplosione di una bomba in un campo profughi al confine fra Siria e Turchia.
Quel bambino è nato innamorato della vita. Per questo quella notte non è morto… Non sono stato io a salvargli la vita, lo ha fatto da solo. E naturalmente ha salvato anche me…
Il piccolo Zamir non è morto, ma ha una «faccia spaventosa», le sue terminazioni nervose sono morte. Non può piangere, né ridere, non può mostrare i propri sentimenti, nonostante una faccia artificiale resa possibile con più interventi chirurgici; ribolle di emozioni, di vergogna, sconforto e sensi di colpa, ma non può esprimerli. Da vittima di guerra e quasi mascotte di un’associazione unitaria internazionale, contribuisce alle raccolte di fondi per l’infanzia stroncata dai conflitti e dall’indigenza. Fa in fretta, Zamir, da adulto a smettere i panni dell’idealista e ad entrare a far parte della Fondazione per la Prima pace mondiale: non si fa scrupoli a spargere inganni e dolore pur di fermare conflitti o evitare delitti, di ottenere una pace temporanea: il male minore… giustifica i mezzi! Bene e male non sono così lontani, ci assicura in qualche modo a più riprese.
Guerre perenni e uno strumento…
Conflitti, guerre e contrapposizioni di ogni tipo disegnano l’orizzonte in cui si muove Zamir, dal volto e dai sentimenti paralizzati. C’è però qualcosa, un simbolo, che – senza edulcorare ingiustizie e dolori – comunque ci restituisce l’umanità di un personaggio indimenticabile, uno strumento che porta con sé.
Trascorrevo ogni giorno della mia vita sforzandomi di sfuggire alla tentazione del suicidio. Era per questo che avevo comprato il violoncello. Sebbene non sapessi suonare e non avessi mai tentato di imparare, credevo che quello strumento mi avrebbe salvato la vita.
Chi cerca un autore feroce e intelligente, non ci pensi due volte e scopra, o riscopra, Hakan Günday.
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