“Non ancora” di Cristina Pacinotti può considerarsi un autobiografico romanzo di formazione, postmoderno e carico di nostalgia. Tra citazioni alte e pop, si prende la scena, tra l’Italia e Parigi, una ragazza alla ricerca di segni, affezionata alle proprie contraddizioni…
Una fotografia degli anni Ottanta, delle paure, dei sogni e delle speranze che li hanno attraversati.
Protagonista di Non ancora (263 pgine, 18 euro), che può essere considerato un romanzo di formazione postmoderno, scritto per Fandango da Cristina Pacinotti, è Maria Fermi una giovane dottoranda originaria di Pisa trasferitasi a Parigi grazie a una borsa di studio in semiotica. Sullo sfondo il disastro nucleare di Černobyl’, la paura per la diffusione dell’Aids ma soprattutto un mondo a metà tra local e global, tra nostalgie per il passato e voglia di futuro.
Un libro nel libro
A Parigi Maria si dedica con scarso interesse alla stesura della tesi, attività che rimanda continuamente preferendogli la ricerca di corsi di danza contemporanea e la scrittura di un libro che cambierà più volte pelle. Prima diario autobiografico, poi romanzo rosa scritto su commissione, il racconto di Maria ruota attorno alle vicende di Marvin, suo reale oggetto del desiderio, e di Teresa, suo alter ego sulla carta e nella vita.
Tra fiction e realtà, Maria ripensa al suo sogno d’amore vissuto per una sola notte a “Terra Base”, centro naturalistico fondato da Marvin in Umbria e nel quale si è consumata, esattamente un anno prima, la loro unica notte d’amore. Nel mezzo telefonate interminabili con Umberto, amico livornese come lei di stanza a Parigi, continui confronti con Laure, affascinante scrittrice di romanzi rosa stanca di inventarsi storie “per signore”, tanto da subappaltarle a Maria, e tanti incontri fugaci che anestetizzano la mancanza dell’amato.
Assente e presente, Marvin accompagna tutto il racconto. Appare, scompare, viene più volte chiamato in causa e poi accantonato. Promessa, più che realtà, si paleserà in due occasioni: la prima in una casa di Milano e la seconda all’aeroporto di Fiumicino. Due appuntamenti che, a differenze di qualche telefonate e di una sorprendente lettera ricevuta, si riveleranno piuttosto deludenti.
Un viaggio interiore
In attesa di Marvin, e con lui del tanto agognato amore, Maria compirà un viaggio per il mondo e dentro sé stessa. Un annuncio pubblicato su Libération, per trovare “relazioni di qualità”, la porterà prima negli Stati Uniti (tra le braccia di Jim), poi in Messico, in Umbria e infine sull’isola vicino casa, luogo in cui dopo una notte estatica si concluderà il romanzo.
“Non ancora”, mantra della protagonista, campionessa del rimandare, e leitmotiv del romanzo, è un racconto carico di nostalgia e ricco di passaggi difficili da dimenticare, ora divertenti ora dolcemente amari.
Al centro la vitalità di una “arzigogolata” ragazza degli anni Ottanta, alla continua ricerca di segni, come la semiotica insegna, affezionata alle proprie contraddizioni e in preda alla voglia di comunicare a tutti chi è e chi vorrebbe diventare.
Un romanzo costellato di citazioni – che afferiscono sia al mondo accademico sia alla cultura pop, da Baudrillard a Madonna – che appaiono ora nei discorsi tra i protagonisti ora sulle T-shirt che Maria è solita indossare.
Prima di diventare adulti
Una storia che, attraverso un gioco di riflessi, parla del passato ma anche molto del presente, di una stagione della vita, quella che anticipa la vita adulta, e di un’epoca che ha molte analogie con quella attuale. Ecco, dunque, che le frasi sulle magliette di Maria ci ricordano gli attuali tweet, così come l’annuncio su Libération ci appare simile all’utilizzo di una app d’incontri e le paure per nucleare e Aids rievocano gli spettri su cambiamenti climatici e pandemie.
Un rimando, quello al presente, che è reso esplicito dall’autrice stessa del libro la quale, ricorrendo a una voce narrante in prima persona, che si esprime utilizzando esclusivamente tempi verbali al passato, invita il lettore a compiere implicitamente un andirivieni tra ieri e oggi, pur senza praticamente mai citare quest’ultimo.
Non ancora ha anche un sapore autobiografico. Non caso si apre con una dedica (“ai miei amici scoparsi, al tempo in cui telefonini e social non c’erano ancora”) e con un esergo (“riuscire a trasformare le vicende della propria vita in racconto è una grande gioia: forse l’unica felicità che un essere umano possa trovare su questa terra”) che non lasciano dubbi in tal senso. Un libro che ci ricorda come eravamo, come eravamo negli anni Ottanta e come eravamo (o come siamo) a poco più di vent’anni: irrequieti, affamati, alla continua ricerca di noi stessi.
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