Trovare un linguaggio diverso, un conforto quando quasi tutto ha perso senso. È il senso de “I numeri sono buonissimi”, racconto di Valeria Viganò: la voce narrante è quella di una donna abbandonata dal compagno, che ne aspetta invano un ritorno alla stazione dei treni…
Ritrovare Valeria Viganò in libreria è un balsamo. Molti suoi titoli sono fuori catalogo o di difficile reperimento e per un tempo davvero lungo, considerata la qualità della sua scrittura, ha fatto anche fatica a trovare un editore disposto a pubblicarla. Rivedere il suo nome sulla copertina di un nuovo libro è confortante. Un’occasione che le è stata data dalla casa editrice Tetra, con i suoi racconti stampati in formato quadrato, catalogo che periodicamente s’arricchisce di chicche e titoli mai banali. È il caso de I numeri sono buonissimi (61 pagine, 4 euro) di Valeria Viganò.
Un tema ricorrente
La fine di un amore è una miccia che accende, un tema ricorrente nella produzione di Valeria Viganò, basti pensare ad alcune delle sue prime felici “incursioni” nel mondo letterario, per esempio L’ora preferita della sera e Il piroscafo olandese, pubblicati originariamente da Feltrinelli. Spietato e pieno di grazia, introspettivo come pochi, è lo sguardo dell’autrice di I numeri sono buonissimi. C’è una protagonista terribilmente sola, voce narrante a tratti irrazionale. C’è una stazione dove lei va, a cercare e ad aspettare chi non tornerà («Chi non ha mai atteso un amore che non torna?»), Sean, autore di una lettera d’addio qualche tempo prima, «commiato laconico, modesto, cautelativo». I numeri rappresentano per la donna l’unica salvezza (perfino fino a certe estreme conseguenze…). C’è un alienante lavoro d’ufficio rifiutato, come lettere e parole che non bastano a confortarla…
Inno a dimenticati e disillusi
Il vagabondaggio, di chi dice “io” in questo racconto di Valeria Viganò, finisce per essere caratterizzato dal sostegno dei numeri, che la aiutano a comprendere il mondo, che le trasmettono armonia, suoni, musica, ritmi naturali a cui s’adatta, ritmi lontani dalle convenzioni e dalle aspettative sociali. «L’amore fa davvero ammattire» e tutto perde significato tranne i numeri. È un inno a chi cade, ai disillusi, ai dimenticati, a chi fa i conti con l’ossessivo aspettare una persona amata, perduta e che non intende tornare indietro. Soffrire, amare, ritrovare il bandolo nel caos è possibile. O almeno questo sembrano suggerire i capitoli di un racconto originale, tre spaccati di vita in cui tanti, tutti potrebbero identificarsi.
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