Dolore e sensi di colpa di un macchinista che ha assistito inerte al suicidio di una ragazza sulle rotaie. Ecco cosa si legge in “Binari”, racconto di Giorgia Tribuiani. Con paragrafi alternati, in un elegante flusso di coscienza, si rievocano i momenti precedenti all’impatto e quelli successivi, e le sofferenze dell’involontario omicida…
Sono gli occhi a fare la differenza in una delle ultime prove narrative di Giorgia Tribuiani, giovane e dotata autrice che, dopo l’esordio con Voland nel 2018 (dopo il quale l’abbiamo intervistata qui e qui), ha pubblicato nel giro di due anni due romanzi con Fazi (di Blu abbiamo scritto qui). È uno sguardo nello sguardo, che non molla la mente di chi s’è l’è visto addosso in un momento drammatico, a essere centrale per comprendere il racconto che Tribuiani (qui un suo articolo per noi) ha pubblicato per la collana di tascabili Pennisole dell’editore Hopefulmonster, prezioso progetto dietro il quale c’è Dario Voltolini, uno che, par di capire, chieda meno di settantamila caratteri e un lavoro non banale sulla lingua. È un’ossessione, l’ennesima, che si trascina in queste pagine dell’autrice abruzzese nata alla “bottega” di Giulio Mozzi e che ha decisamente spiccato il volo.
il disturbo post-traumatico da stress
Le conseguenze dei suicidi sulle rotaie sono al centro del racconto Binari (80 pagine, 12 euro). Ottimo esempio di come un romanzo mancato, forse macchinoso, messo da parte, possa diventare un testo breve di potenza lancinante, indagando la psiche di chi finisce alle prese con un disturbo post-traumatico da stress. È il caso dei macchinisti che nel corso della propria carriera hanno la sventura arrendersi alla volontà altrui e di metter sotto aspiranti suicidi, che spesso – quasi mai quando si sdraiano – raggiungono l’obiettivo che si sono prefissati. Grazie a paragrafi alternati Tribuiani racconta in contemporanea i momenti che precedono l’impatto e quelli successivi, caratterizzati da ciò che resta nella mente di chi è colpevole suo malgrado, da allucinazioni e, nel caso immaginato, dalla voglia di scavare nel passato della vittima, addirittura di incontrare la famiglia. Un lavoro per cui la scrittrice si è avvalsa di vere testimonianze, di tante ricerche e anche di un confronto con Domenico De Berardis, direttore del Centro di Salute Mentale di Giulianova, una cui illuminante intervista completa il volume assieme a una postfazione di Voltolini.
La vivisezione di una sofferenza
Lo sguardo della ragazza finita sotto il suo treno si incolla alla mente del conducente del treno. Il risultato è non un “crogiolarsi” nel dolore, ma la vivisezione di una sofferenza e di un’ossessione, il ripetersi di pensieri ricorrenti che s’accavallano, il senso di una sventura che accompagna senza tregua. Il ritmo della scrittura di Tribuiani tiene conto di tutto questo, con una certa dose di empatia, con un pressoché costante, elegante, flusso di coscienza, con i riflettori accesi sul perturbante. Il risultato è inevitabile per chi legge, immedesimarsi nel ferroviere, omicida involontario, che non si perdona quel che gli è successo, come nella vittima è molto più semplice di quanto si pensi.
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