Ha deferenza, calore e dolcezza la voce narrante di “Vincenzina ora lo sa”, romanzo di ragione e sentimenti di Maria Rosaria Selo, escursione nell’epopea dell’Italsider di Bagnoli. La protagonista è un personaggio esemplare: più che dire agisce, non spiega ma attua, non catechizza sul femminismo ma sottolinea la femminilità stereotipata…
La penultima volta in cui sono stata all’Italsider di Bagnoli – forse allora si chiamava Ilva – frequentavo la scuola elementare. Mamma portò mio fratello e me al circolo dopolavoro di Coroglio per scegliere la “befana del cantiere”. Dopo, passammo a trovare papà, presso il capannone dell’officina meccanica sotto il quale aveva cominciato la sua carriera lavorativa con la qualifica di tornitore per congedarsene, in seguito, da impiegato. L’ultima volta che ci sono tornata è stato tra le pagine de “La dismissione”, il romanzo che Ermanno Rea dedicò all’agonia dello stabilimento siderurgico napoletano.
Contributo alla letteratura working class
Ringrazio sinceramente Maria Rosaria Selo per Vincenzina ora lo sa, (276 pagine, 18,5o euro), Rizzoli Editore.
Sono grata alla scrittrice e sceneggiatrice napoletana, già candidata al premio Strega nel 2022 con “L’albero dei mandarini”, di avermi offerto, con questo suo ultimo romanzo, una inaspettata escursione in un luogo che è stato e rimarrà per sempre, nel bene e nel male, leggendario per me e per molti napoletani miei coetanei. Grata per il contributo che porta alla “letteratura working class” con la vicenda di Vincenzina, concepita e scritta nel più virtuoso dei modi, ovvero come rappresentazione metaforica dell’analogo vissuto di centinaia di persone.
Grata, dunque, per la perspicacia, l’accortezza e l’amore con cui si è presa cura dei caschi gialli di Bagnoli, una stirpe di lavoratrici e lavoratori – della quale, purtroppo, si va perdendo il ricordo – determinante per il progresso sociale e culturale di Napoli.
Una nuvola nera
Vincenzina Ruggiero, la protagonista del romanzo, vive a Cavalleggeri, rione, insieme a Bagnoli, geograficamente segnato dalla presenza dell’acciaieria. È la primogenita di una famiglia di quattro: il papà Ferdinando fa l’operaio “into o’ cantiere”, la madre Antonietta è casalinga, la sorella Giulia è una studentessa delle superiori piuttosto distratta e svogliata. Lei, capelli rossi, minuta, senza la bellezza che è invece toccata a Giulia, ma con forza e cervello, frequenta il magistero; nutre la speranza di diventare insegnante e fare il salto di classe degno coronamento dei sacrifici condivisi con mamma e papà. Una nuvola nera, tuttavia, la investe in pieno. Spazza via i sogni adolescenziali, costringendola ad una virata che assomiglia, inizialmente, a una resa. Ferdinando, marito, padre e collega esemplare, pilastro morale in casa e in fabbrica, unica fonte di reddito, muore consumato da un cancro ai polmoni provocato, con tutta probabilità, dalle esposizioni nocive alla cui mercè è stato sul luogo di lavoro. Alla figlia maggiore passa la pesante eredità di sostentare il residuo nucleo domestico. Come era uso all’epoca, infatti, “piglia il posto del padre all’Italsider”.
Quindici anni
Questo l’incipit tragico della vicenda che procede dal 1975, anno in cui Vincenzina entra nello «stabilimento dalla porta di servizio, in punta di piedi, con l’amaro in bocca e in un silenzio pieno di dignità», all’ottobre 1990, quando, ormai donna fatta, già madre, assiste all’ultima colata e allo spegnimento dell’altoforno numero 5, che segna l’arresto dell’intera area a caldo del Centro Siderurgico di Bagnoli.
La trama del romanzo copre, dunque, l’arco complessivo di quei quindici anni durante i quali Vincenzina si rifonda. Nella consapevolezza che «la fabbrica è un destino, non una scelta», dopo averne varcato le soglie «con gli ideali del padre stretti in pungo», pian piano, mentre, ottemperando alle sue mansioni contrattuali, fa pulizia nei capannoni, fa pure pulizia dentro sé stessa e scardina i suoi pregiudizi di studentessa saccente.
Ora vedo l’alienazione della fabbrica, la morte, il dolore, ma anche l’amicizia pura, senza opportunismo, la solidarietà.
Giorno dopo giorno, supera lo scetticismo verso i colleghi (tra essi Giuseppe, al cui amore si arrenderà) che, nell’accoglierla, le avevano descritto il cantiere come una famiglia. «La famiglia è altro. Tutela, non ammazza» – aveva pensato -. Andando oltre la puzza di fuoco, ferro e sudore, sbriciola il muro di diffidenza che la separava dalle altre colleghe, stringendo relazioni umane impastate di affetto, comprensione, immedesimazione, rispetto, e soprattutto di sorellanza, quel sentimento nuovo di solidarietà tra donne che impara là dentro. Si fa, infatti, “sorella” di Anna, Elena, Piera, che l’aiutano e la sostengono nel cavare via Giulia da una situazione spinosa.
Scrittura impeccabile e valori preziosi
Il romanzo procede per minuscole tessere, che corrono tra il passato e il presente. In perfetto tempismo con le esigenze della narrazione, di tanto in tanto si addentrano nei trascorsi di Ferdinando e Antonietta per svelarci chi fossero prima di diventare coppia, esplorano gli esordi del nucleo familiare, descrivono le vicissitudini degli altri protagonisti minori per poi tornate a concentrarsi sul presente di Vincenzina.
La scrittura di Maria Rosaria Selo è impeccabile.
Deferenza, calore e dolcezza sono le prerogative che l’autrice ha imposto alla voce narrante.
Non c’era, d’altronde, modalità espressiva migliore per comunicare il prezioso patrimonio di valori che si intendeva portare all’attenzione del pubblico, per riaccendere i riflettori sul dolente fato dei metalmeccanici napoletani, per rinnovare loro il meritato tributo di stima, affetto e riconoscenza.
Maria Rosaria Selo dimostra con il suo lavoro l’eccellente salute di cui gode il romanzo di trama se è elaborato con metodo. Evidenzia tutti i gol che si possono mettere a segno quando in campo c’è una scrittrice che conosce il mestiere e sa impugnare la penna senza tentennamenti, trascuratezze o impazienza.
Dettagli significativi e niente divagazioni
Armonioso in ogni sua parte, Vincenzina ora lo sa non indugia in divagazioni pleonastiche. Scarta l’opzione di espliciti pipponi ideologicamente connotati e di spiegoni sapienziali, tuttavia non rinuncia né alle ideologie, né a sostenere specifiche tesi, né a riprodurre fedelmente il clima dell’epoca. Si concentra, per affrescare la realtà industriale bagnolese, sull’essenziale di ciascuno degli attori in scena e su pochi dettagli realmente significativi. Eppure, in tale economia di dati e di commenti, restituisce con nettezza il coraggio e le virtù di quelle vite operaie. Va persino oltre: riaffida al lettore che ha impresso sul proprio DNA il marchio dell’Italsider un incredibile pezzo della propria cronaca familiare.
È il potere della maieutica applicata alla narrativa. Della sua capacità di regalare a chi è in ascolto la soddisfazione di partorire autonomamente idee, visioni, suggestioni e di risvegliare i propri sentimenti sopiti.
Vincenzina non impone le sue parole quanto, piuttosto, il suo esempio. Più che dire, agisce. Non solo rivendica. Mette in pratica una resistenza – anche quando sembra piegata alla sorte – operosa, fruttifera. Non ci spiega la sorellanza, ce la fa vedere mentre la attua. Non catechizza sul femminismo, ce ne dà un saggio nel suo fare da controcanto alla femminilità stereotipata – oggi diremmo patriarcale – della sorella Giulia.
Romanzo di ragione e sentimenti, questo di Maria Rosaria Selo, che ho goduto in ogni sua sfumatura. Seppure ci fosse qualcosa che Maria Rosaria Selo e Vincenzina hanno omesso, è perché sono certe che sarà cura e piacere del lettore recuperarlo dalle proprie memorie. Per noi, vissuti all’ombra dell’altoforno, che abbiamo tirato la cinghia insieme ai genitori per conquistare il privilegio di studiare, che conserviamo ancora nelle narici il puzzo dell’acciaieria -paradossalmente per sempre odore di casa-, che abbiamo pianto con i nostri padri all’atto della dismissione presagendo una involuzione di tutto il tessuto socioculturale cittadino, Vincenzina è una parente prossima. La sua vicenda è la nostra. Leggerla, raccontata con la grazia e il tatto con cui lo ha fatto Selo, rinnova emozioni da pugno al cuore: porta a galla assieme al dispiacere, ancora vivo, per le tribolazioni della chiusura, altresì l’orgoglio d’essere l’ultima generazione dei figli delle “tute blu do’ cantiere”.
P.S: I personaggi del romanzo sono tutti frutto della fantasia dell’autrice, ad eccezione di Aurelia Del Vecchio, scrittrice, ex lavoratrice dell’Italsider di Bagnoli, attivista politica e sindacale, che Maria Rosaria Selo ha voluto esplicitamente omaggiare. Mi fa piacere mettere in evidenza il suo nome anche in questo consiglio di lettura.
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