“Una donna spezzata”, ovvero un classico di Simone de Beauvoir: tre racconti e altrettante donne alle prese con sensi di colpa, frustrazioni e autocommiserazione, oltre che con la cultura maschilista del tempo
Riguardo a Simone de Beauvoir è stato detto molto, se non tutto.
Scrittrice, saggista, intellettuale, pioniera del femminismo moderno e fautrice della cognizione contemporanea di femminino come pietra angolare per lo sviluppo equilibrato socio-culturale e letterario.
Una donna che ha cercato di plasmare la realtà con le proprie idee e che ha usato la scrittura per diffonderle in modo capillare, in seno alla cultura contemporanea.
In Una donna spezzata (256 pagine, 12 euro), ne abbiamo una testimonianza.
Stravolgimenti
Il libro contiene tre racconti di donne che a un certo punto dell’esistenza si trovano di fronte allo stravolgimento totale di ciò che fino ad allora hanno vissuto, o pensato di vivere, il racconto di de Beauvoir è magistrale nel rendere la complessa ridda di sentimenti che si affastellano nei pensieri delle protagoniste. I sensi di colpa, l’autocommiserazione, l’abitudine inoculata, anche inconsciamente, dalla cultura maschilista del tempo, ad autocolpevolizzarsi quando qualcosa fallisce, scadendo talvolta nel rifiuto di sé stesse oltre che nel vittimismo.
Archetipi femminili che non sfuggono alla trappola di mettersi l’una contro l’altra quando l’uomo tradisce i loro sentimenti, incapaci di stabilire un rapporto empatico con la sé stessa ferita, verso la quale è più facile dirigere la rabbia per non aver capito, non aver fatto meglio o di più nella gestione del rapporto. Più avvezze a giustificare e comprendere l’uomo, e la sua vigliaccheria, piuttosto che la propria anima.
De Beauvoir affianca a questi processi intimi femminili anche l’incapacità maschile di porsi di fronte alle proprie responsabilità, delegando vigliaccamente alla parte lesa, anche l’onere della risoluzione dei problemi e delle sofferenze causate. Donne lasciate sole dinanzi alla fatica di ricucire le parti spezzate, che devono necessariamente tornare unite, accettando che nella trasformazione i pezzi originari non potranno più combaciare.
Tematiche profonde, dolorose, che de Beauvoir affronta senza appesantire il racconto con elementi disturbanti, senza indugiare nel rancore o sentimenti esacerbati, per scongiurare, forse, il rischio di un abbandono della lettura, scatenando reazioni partigiane a svantaggio di un approccio sistematico al problema.
Silenzi
L’intento primario di Simone de Beauvoir è quello di attirare l’attenzione sul silenzio in cui è avvolta la quotidiana sconfitta femminile. Il non alzare la voce, non farsi sentire, mantenendosi sotto tono, contenere la protesta e la conseguente frustrazione interiore in cui le protagoniste dei tre racconti (paradigmi dell’universo femminile nella sua interezza) scivolano e sono chiamate ad affrontare.
Simone De Beauvoir si fa portavoce di questa incapacità di urlare le proprie ragioni, di rivendicare una forma di giustizia riparatoria dei sentimenti spezzati che caratterizzava, e caratterizza, la realtà femminile; Una donna spezzata è proprio questo: il racconto del dissidio e della sfida di resistenza alle apparenze e all’intima sofferenza emotiva generate dalla costante, frustrante sottomissione socio-culturale nella quale si trova la donna da decenni.
Questa scelta narrativa stilistica e tonale, anche grazie all’indiscussa qualità della scrittrice, non depotenzia la forza del messaggio rivoluzionario, che arriva al lettore, alle donne in particolare, dritto e senza mediazioni, con un ritmo che si mantiene pacato fino al terzo racconto, dove invece lo stile cambia radicalmente; si accentua, si velocizza, si impenna, inerpicandosi senza sosta in un turbinio di pensieri e riflessioni esposte con frasi contratte, puntuali.
Disagi
In Una donna spezzata, alla fine, tutto sale in superficie, il confronto frontale con l’interlocutore maschile arriva sempre; l’esposizione delle cause scatenanti il disagio femminile non rimangono un lavorio sotterraneo, fine a sé stesso e, anche se non porta a soluzioni risolutive, tuttavia arricchisce il valore del contenuto che l’autrice trasferisce al lettore e induce alla riflessione.
Nel primo racconto, la resa dei conti avviene il giorno del compleanno della protagonista, Monique, come un punto di svolta del racconto, assumendo il valore simbolico della rinascita; nel secondo racconto, le tensioni si sciolgono nella casa fuori città, un buen retiro che farà da spartiacque tra la vita precedente e successiva della protagonista e nell’ultimo racconto, lo scontro è solo apparentemente assente perché l’autrice sceglie il registro narrativo particolare del flusso di coscienza, un lungo monologo che sottolinea, ancora di più, il dissidio inconciliabile con noi stessi.
Questa rabbia che esplode solo nell’ultimo racconto, nell’ultimo personaggio femminile e sotto forma di monologo è una scelta singolare che forse si potrebbe spiegare con l’intenzione dell’autrice di dimostrare la passività coatta nella quale (e che) la donna vive in solitudine senza esserne conscia.
La rabbia può certo essere espressa, ammonisce de Beauvoir, può essere anche patrimonio femminile, purché rimanga sempre circoscritta, solo così è ammissibile.
Per questo, forse, la scelta del monologo nel terzo racconto, il più duro, usando il flusso di coscienza quasi come un argine verso l’esterno.
Un escamotage perché la rabbia sentimento che, culturalmente, una donna non si può ancora permettere di nutrire, figurarsi manifestare, rimanga un fatto personale che non sfoci all’esterno, che non coinvolga e non arrivi nella dimensione altrui.
Un’altra forma di costrizione patriarcale nella quale la donna si ritrova inconsapevole e ripiegata.
A questo atteggiamento tecnico, va aggiunta la scelta, ancora più particolare, del lessico usato nell’ultimo racconto che diventa anche volgare, scurrile, volutamente violento. Idoneo a rappresentare la potenza deflagrante che ha l’affrontare in solitudine il dolore. Sono pagine di flusso di coscienza straordinarie in cui ci si sorprende, più volte, a contrarre la mascella in nome di tanto profondo abisso emotivo che ha spezzato la terza protagonista di questo libro magnetico.
Vittime di un sistema
Una nota particolare va spesa per i finali. Il primo è sicuramente destabilizzante, anche se chiarisce tutto il mood del racconto.
A fine lettura di Una donna spezzata (tradotto da Bruno Fonzi per Einaudi) possiamo dire di aver non solo assistito, ma anche partecipato in modo diretto al dissidio interiore di Monique che, nel primo racconto, combatte contro sé stessa, tenacemente seguendo schemi e dinamiche patriarcali che mettono al lato le responsabilità del maschio anche quando ha palesemente torto. Monique si mette alla ricerca di sé stessa attraverso gli altri. Cerca la propria validazione, chiede perfino alle amiche che la conoscono meglio chi sia lei veramente. Monique per la prima volta capisce la sconfitta di non essere mai stata una persona autonoma. Fino a quel momento aveva avuto una dimensione solo in rapporto al marito, Maurice. Una donna che esiste solo come interfaccia di un amore, senza spessore. La necessità di prenderne atto darà inizio alla ricostruzione dell’avvenire: da sola. In prima persona.
E accade così anche nel secondo racconto dove la protagonista non ha neppure un nome, è ognuna di noi che ha l’occasione di ritrovare un’identità. Nel racconto l’evento scatenante è il conflitto generazionale col figlio che, sulle prime, la protagonista si troverà a negare, rifiutare, a elaborare come una sconfitta propria, ma alla fine, trovato l’ago nel pagliaio, si pacificherà sia come donna che come partner. Finalmente, questa donna ha imparato a guardare la realtà e non la sua idealizzazione che da essa l’aveva sempre allontanata, dandogliene una visione alterata. In questa nuova coscienza di sé, procederà anche lei verso un nuovo avvenire accanto al marito, Andrè. Molto belle le pagine in cui la coppia si ritrova. Uno straordinario, tenero dialogo ben calibrato e caratterizzato da ragione e sentimento in cui de Beauvoir usa sapientemente un tono intimo e al tempo stesso lucido che trascina il lettore tra le righe.
In Una donna spezzata le paure sono individuali, ma il modo di affrontarle è comune a queste tre donne che Simone de Beauvoir tratteggia plasticamente, facendone personaggi non solo vividi, ma profondamente fallibili, inquadrandoli sia come vittime indubbie di un sistema che ancora oggi le penalizza e fatica a essere superato culturalmente, ma anche come artefici del proprio disagio laddove il cambiamento di rotta sarebbe stato loro possibile, se solo avessero avuto il coraggio di realizzarlo.
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