Un italianissimo noir, dal fascino vagamente gotico, con una scrittura fluida e carezzevole. È “Per il lato obliquo delle cose” di Alessandro Orofino, il cui ricavato delle vendite sarà devoluto in beneficenza. La storia cattura il lettore in modo inestricabile, anche attraverso un protagonista fragile…
Le più grandi storie d’amore nascono, quasi sempre, da un’iniziale diffidenza, che nasconde spesso la paura d’innamorarsi troppo e, fuor di metafora, di lasciarsi conquistare da un libro, in un momento della propria vita in cui leggere non è fra le priorità (tristi intermezzi di lettori compulsivi). La fastidiosa accidia non ha vinto e sono stata folgorata sulla via di Damasco da Per il lato obliquo delle cose (183 pagine, 15 euro), edito da Pathos, scritto dal talentuoso Alessandro Orofino.
Un motivo in più per leggere quest’ottimo noir, oltre al fatto appunto di esser ben congegnato in ogni suo segmento, è che parte del ricavato delle vendite viene devoluto ad Associazioni onlus di comprovata serietà, fra cui ha un posto speciale nel mio cuore “Gli amici del mondo di Bea”. Bea è stata una bambina coraggiosa e molto amata.
Negli intenti e nella realizzazione, il libro di Orofino è un avvincente inno alla vita, con tutte le sue inestricabili contraddizioni, e pur nella sua apparente immobilità.
Ulisse irrisolto
Inizialmente la descrizione di Sergio, il protagonista del libro, volutamente, non colpisce in maniera particolare il lettore. È un uomo alla ricerca di sé stesso, come tanti, come tutti, un piccolo Ulisse che sfugge al richiamo assordante delle sirene di una vita fin troppo incasellata.
Io, di questo fragile antieroe, mi sono innamorata al suo sorseggiare un ginseng,
Un piccolo capriccio a cui
non avrebbe rinunciato
per nulla al mondo
Mi sono ritrovata seduta accanto a lui, al bancone del bar di un paesino uguale a tanti altri, ad osservare ipnoticamente una realtà che nascondeva un brivido disarmante fra stradine di montagna.
Per il lato obliquo delle cose (qui è possibile leggerne un estratto) ci pone dinanzi ad un protagonista, che dopo un imprinting incerto, conquista il lettore, per la sua affascinante fragilità, quella di chi vacillando rimane sulla soglia ad aspettare che il vento cambi direzione.
Sergio ci appare come colui che realizza il sogno che tutti noi coltiviamo, più o meno segretamente, più o meno intensamente. Quando la ruota si ferma e noi minuscoli criceti insoddisfatti, vittime di un meccanismo inceppato, non sappiamo da che parte dirigere le nostre forze, allora iniziamo a trastullare la mente con visioni di ritiri improbabili e luoghi sospesi nello spazio e nel tempo. I problemi però ci inseguirebbero dovunque, soprattutto se la radice più atavica delle morse che ci attanagliano risiede proprio in noi. Si può scappare lontano da persone, luoghi, amori gelidi e relazioni soffocanti, ma non dai ricordi, dal dolore e dagli errori, che percorrono i nostri stessi passi, come un’ombra di cemento agganciata al cuore, e questo Orofino lo sa bene e lo descrive con la dovizia di un narratore di favole dal finale aperto e controverso, come la vita.
L’estetica della parola
La scrittura di Alessandro Orofino è fluida, carezzevole, come un tramonto sulla riva di un lago e ipnotizza il lettore con parole che scivolano veloci su righe di velluto. Vige un senso estetico delicato nell’accostamento delle frasi, dei concetti, che conferiscono gradevolezza al romanzo.
Il lettore ha la sensazione tangibile di assistere agli avvenimenti che vengono narrati e diviene esso stesso protagonista silente della narrazione.
La parola pare traversare la pagina con levità, trasportandoci verso il non luogo dei racconti, dove ci si mescola, in una dimensione di sonno vigile, al mondo descritto, donato, dei libri.
Per il lato obliquo delle cose ricorda le atmosfere intriganti e fumose di Vanilla Sky, dove un eccellente Tom Cruise (e lo dico pur non amandolo per nulla) sfugge sino alla fine a qualunque tentativo di inquadrare, con categorie di rigida razionalità, il suo personaggio e la storia raccontata.
E poi…
Come in Espiazione, del geniale e irrinunciabile Mc Ewan, c’è un lato obliquo delle cose che non si lascia afferrare del tutto, se non in una eterna sospensione al di là dei sogni, oltre le certezze.
La trama è una tela di ragno, che cattura il lettore in maniera inestricabile e, dopo un inizio volutamente sonnacchioso, non si vorrebbe tirar fuori mai la testa da pagine in cui l’intreccio si rinnova continuamente.
Nulla svelo oltre, commetterei un imperdonabile delitto. Occorre leggere questo italianissimo noir, dal fascino vagamente gotico.
Orofino ci consegna una parte di sé in questo romanzo, insieme ad un monito importantissimo, affidato ai ringraziamenti finali. Non bisogna cedere, occorre avanzare sempre, perché non sapremo mai chi siamo davvero finché la prova non ci avrà attraversato, magari da parte a parte, con la lama rovente del dolore.
La differenza fondamentale fra un libro scritto (anche sapientemente) ed uno partorito consiste nell’autenticità di un racconto che si trasforma, riga dopo riga, in una liberante catarsi.
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