Torna in libreria l’ineffabile portabandiera dei post-esotisti. “Le ragazze Monroe” di Antoine Volodine è un romanzo surreale che ripropone, come in molte opere del passato, post-apocalittico e distopia. L’umanità residua si trova nell’enorme ospedale psichiatrico di una città non identificata. Intanto una rivoluzione è stata soffocata…
Amanti del post-esotismo esultate, Antoine Volodine è tornato. In realtà non se ne è mai andato e mai è stato abbandonato il progetto dello pseudo movimento letterario-politico-rivoluzionario da lui fondato che dovrebbe concretizzarsi nei 49 volumi di cui uno degli autori post-esotisti parla in Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima (ne abbiamo scritto qui), sorta di manifesto del movimento. 49 sono anche i “narrat” di Angeli minori (qui l’articolo), all’interno dei quali sono contenuti frammenti, lacerti di prosa dei superstiti alle catastrofi del XX secolo, come pure in Scrittori (Clichy 2013) nel quale gli scrittori (post-esotisti) sopravvissuti cercano di organizzare una qualche forma di resistenza dalle carceri di quel mondo post-apocalittico come sempre tratteggiato nelle allucinate distopie di Volodine.
L’essenza misterica del 49
Ritorna costantemente l’essenza misterica del numero 49 nell’autore francese di origine russe, o in chi per lui, perché spesso viene messa in dubbio la sua stessa identità o quantomeno lo stesso Volodine si diverte a giocare con essa come testimonia l’utilizzo di eteronimi in molte delle sue opere. 49 sono anche i brevi capitoli dell’ultimo testo post-esotista sfornato dal “sedicente” Volodine, il quale con queste prerogative ha creato un’aura di mito intorno al movimento e una sorta di culto intorno a sé e ai suoi o di altri autori di romanzi post-esotisti. L’ultimo titolo da noi arrivato nella traduzione dal francese di Anna D’Elia, lingua nel quale è uscito in originale nel 2021, è Le ragazze Monroe (251 pagine, 17 euro) per 66than2nd. Alla casa editrice romana va il merito della pubblicazione di gran parte delle opere del portabandiera dei post-esotisti tra i quali vale ricordare Terminus radioso (ne abbiamo scritto qui) per le stesse implicazioni politiche, rivoluzionarie, contro-rivoluzionarie e con le stesse coloriture post-apocalittiche e un vago andamento da spy story.
L’arcana significanza del numero 49 rimanda alla tradizione orientale verso la quale Volodine rivolge da sempre nelle sue opere un attento sguardo traendone continua fonte di ispirazione. Nel libro tibetano dei morti, vera e propria Bibbia del buddhismo tibetano, vengono interpretate le esperienze degli stati intermedi tra la morte e la rinascita che si suddividono in tre grandi fasi per un totale di 49 giorni i quali costituiscono l’intervallo tra la vita e la morte con la costante tensione dello spirito a sciogliersi nel nirvana.
La costante dell’apocalisse
Vita e morte sono due caratteristiche fondanti di tutte le opere di Volodine e in particolare in Le ragazze Monroe il labile confine tra i due mondi si mostra in tutta la sua permeabilità. I territori della morte sono «un territorio attiguo dove ci avventuravamo in modo naturale» dice uno dei protagonisti. Vi troviamo morti evasi dall’obitorio, un mondo di zombie paranoici, infiltrati e dissidenti del Partito, infatti, a seguito di lotte intestine in seno allo stesso, Monroe, presenza quasi fantasmatica che si mostra solo nel finale, è stato eliminato molti anni prima e dall’aldilà organizza una rivolta con l’ausilio di un commando di terroriste, le ragazze Monroe appunto.
È una costante che ogni libro di Volodine inizi con un’apocalisse planetaria o che questa sia già avvenuta fuori dal testo, sia che questa sia stata causata da un’esplosione nucleare o da altre cause non meglio identificate. Il post-apocalittico è il milieu più congeniale allo scrittore francese che si può così sbizzarrire nel tratteggiare scenari e ambientazioni tipici delle distopie che ricordano film culto del genere quali Blade Runner e Matrix.
Nel caso de Le Ragazze Monroe ci troviamo catapultati in una città, chiaramente non identificata, oppressa da cieli plumbei e da una pioggia incessante, una città nella quale l’umanità residua vive all’interno di un enorme ospedale psichiatrico. All’interno di questo vanno e vengono e si agitano in vario modo i protagonisti e co-protagonisti del romanzo, figure, che spesso hanno la consistenza di manichini o burattini mossi da fili invisibili, quando non di veri e propri cadaveri parlanti che ricordano, anche per gli stranianti dialoghi che spesso sfociano in un’esilarante turpiloquio, alcuni dei più celebri personaggi beckettiani quali Mercier e Camier o il Vladimir ed Estragon di Aspettando Godot.
Cadaveri e rivoluzione
Fra di essi vi è la voce narrante che è alternata a quella di certo Breton (un omaggio al surrealismo non poteva mancare in un romanzo tanto surreale), una specie di alter ego del protagonista, forse la sua ombra, un duetto che anch’esso ricorda le macchiette beckettiane. I due si muovono sulle tracce delle ragazze Monroe, fanno/fa l’incontro con di una di loro della quale il narratore ci dice: «Trent’anni prima l’avevo amata alla follia. E poi era morta». Le ragazze Monroe «avevano lasciato l’aldilà, erano tornate al campo d’internamento, ma dopo aver portato a termine la loro missione, quella di rimettere in sesto il Partito, sarebbero state nuovamente condannate a morte» ritornando a quel regno attiguo, quello dei sopravvissuti: «Sono state abituate a vivere laggiù, insieme a Monroe, nei sogni di un morto». La continua trasmissione, quasi interdipendenza tra mondo dei vivi e mondo dei morti costituisce la struttura formale del grottesco, post-apocalittico e inquietante paesaggio della distopia di Volodine, nella quale i cadaveri parlano o giacciono nelle strade fangose oppure all’ingresso degli uffici del comitato centrale del partito che cerca di rintuzzare le velleità rivoluzionarie dei cospiratori, una rivoluzione che viene programmata tramite contatti telepatici e con lo sciamanesimo, una rivoluzione che come ogni rivoluzione ha i suoi complotti e i suoi agenti della controrivoluzione: «Non ci si crede, i pezzi grossi del Comitato centrale che complottano in una soffitta per distruggere il partito», o agenti infiltrati come Kaytel, il quale pur colpito al petto da una pallottola continua ad andarsene in giro come se niente fosse, la stessa cosa che accade all’agente Cooper in Twin Peaks di David Lynch, una rivoluzione che in fondo non è che una farsa come testimonia il finto il proclama che invita alla rivolta di una delle ragazze Monroe che ricorda la celebre finta partita a tennis in Blow up di Michelangelo Antonioni. Nel romanzo è Rebecca Rausch, colei che la voce narrante “aveva amato alla follia” che in un estremo tentativo di salvezza rivolge le sue filippiche rivoluzionarie letteralmente a nessuno, in un mondo ormai spopolato, a un popolo inesistente. Una rivoluzione soffocata dalla pletora di frazioni dai nomi più fantasiosi, erano ben 343 ai tempi gloriosi del Partito e l’allegato al libro ne è un fantastico compendio che va ad enumerarle una ad una con un effetto esilarante e straniante come lo è l’ennesimo testo post-esotista di Volodine, che lo accomuna ai precedenti per lo stile utilizzato, che come nel caso di scritture di genere come la fantascienza, le distopie o le ucronie è focalizzato non tanto sul bello stile, sulla musicalità della parola e sulla sua potenza evocativa, quanto sulla descrizione e la capacità di disegnare dei paesaggi apocalittici inquietanti, distorti e discordi, alterati rispetto al nostro principio di realtà, un linguaggio spesso piatto e monocorde, semplificato, strettamente colloquiale quando non artatamente tecnico, così come avviene in maestri del genere quali Philip Dick o Isaac Asimov, solo per citarne due dei più letti.
La degenerazione dei corpi
Ci possiamo domandare se ci sia un limite allo strano, alla creazione di mondi paralleli che non possono che ripugnarci insieme alle repellenti e nauseabonde descrizioni di paesaggi urbani desolati e di esseri umani mutanti in creature degne di un film di Cronenberg o del giapponese Tsukamoto, nel finale del romanzo la degenerazione dei corpi si inserisce nella tradizione dei migliori film horror e cyberpunk. Ci possiamo quindi interrogare sul ruolo della letteratura e se quella di genere in particolare, per la quale anche nel caso di Volodine ci possiamo affrettare ad affibbiarne uno (fantasy, fantascienza, weird, new weird ecc…) abbia una vera presa sulla realtà, se questa abbia una sua funzione o debba essere considerata semplice intrattenimento, se in ultima analisi visto che si sta trattando di Volodine e del movimento post-esotista da lui fondato, se questo tipo di letteratura abbia una attinenza con il cosiddetto reale ed ipotetici progetti di una sua trasformazione rivoluzionaria, domanda alla quale Volodine risponderebbe forse come in un’intervista di qualche anno fa che «in ogni caso sarebbe inutile cercare nel post-esotismo dei messaggi criptati per l’azione, per l’insurrezione o dei testi apocalittici destinati a funzionari eletti o qualsiasi altra cosa», quindi semplicemente letteratura, post-esotista, ma pur sempre letteratura.
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