Un marito scomparso da poco, un figlio lontano, un pacchetto dal contenuto inquietante riportato alla luce. Ne “La combattente” la protagonista di Stefania Nardini fa i conti con una vicenda estrema e remota, e non s’arrende…
A quel tempo io ero un ragazzo, proprio come il protagonista della canzone di De Gregori, con la differenza che – a tutto vantaggio, direi, dell’assai più noto Bufalo Bill – ero tutt’altro che biondo quasi come Gesù, non giocavo a ramino, né ovviamente mi sarei mai sognato di fischiare alle donne.
Ero, più banalmente, un ragazzo di un liceo di provincia, che come tutti i suoi coetanei cercava di conciliare studio e divertimento e che di fronte all’ennesima edizione speciale del TG, si interrogava, al pari di tanti altri italiani, sulle sorti di una democrazia aggredita e dilaniata dal terrorismo di ogni specie ed estrazione.
Ed è proprio a quegli anni – siamo all’incirca nel 1978, lo stesso del rapimento e dell’uccisione di Moro – che la mente di Angelita è costretta a tornare, dopo che un incidente domestico ha riportato alla luce, in casa sua, un pacchetto dal contenuto assai inquietante, appartenuto evidentemente a Fabrizio, il marito appena scomparso a causa di un male incurabile.
Vedova con un figlio
Angelita, la protagonista de La combattente (156 pagine, 15 euro) di Stefania Nardini (edizioni E/O) è una donna fragile e sola, fermamente intenzionata, però, ad aggrapparsi ad ogni “brandello di razionalità” per mantenere dritta la barra del rapporto con il figlio; che in tutti i modi vuole tenere esente dalle sue angosce e dalle sue paure, aiutata, per fortuna, dal fatto che Marco, questo il suo nome, vive in un’altra città.
Al di fuori di questo spazio nel quale riesce ad essere sufficientemente determinata e tutto sommato efficace, la sua nuova vita, già marchiata dall’improvvisa solitudine e dai mille dubbi su un presente a dir poco incerto, viene ulteriormente ferita quasi a morte da una “vicenda che si potrebbe facilmente definire estrema e remota, come la pellicola di un film. Ma [che] in realtà non lo è perché, se riaffiora, è ancora presente. Talmente presente da aver partorito l’oggi”. Ed è proprio quell’oggi che, pur nella consapevolezza del dolore, mai avrebbe immaginato di dovere affrontare in questi termini, che la spinge a tentare di appurare cosa si nasconde dietro il contenuto di quell’involucro.
Un’indagine difficile
Una scelta che le appare tanto necessaria quanto pericolosa perché Angelita sa che questa indagine potrebbe portarla in un altrove ancor più doloroso. Capisce, lei, donna sola dall’equilibrio molto precario, che, per tornare a De Gregori (peraltro citato nella storia, ma con Rimmel) la sua esistenza senza Fabrizio ha la strada segnata, come la locomotiva, mentre questo imprevisto la costringe adesso a scartare di lato, e forse la farà cadere, proprio come il povero bufalo della canzone.
Una differenza non di poco conto, con una prospettiva molto poco attrattiva, ma che tuttavia non riesce a scoraggiarla, perché quella, tutto sommato, è anche la sua storia. Così, sostenuta da amiche affettuose e premurose e coccolata da Malika, la tenerissima domestica che ricostruisce per lei un brandello di famiglia, Angelita si dimostra quel che a tutti non appare: una combattente, a modo suo certamente, ma pur sempre una donna che non si arrende e che al momento giusto sa prendere la decisione più corretta.
Animata e sorretta da un linguaggio diretto, preciso, privo di sbavature, la storia raccontataci da Stefania Nardini si tiene sempre a debita distanza dalla insistente e perniciosa impenetrabilità di quei racconti (Dio solo sa quanti se ne pubblicano ogni anno) che indugiano, senza motivo, sugli aspetti più oscuri dell’improvvisa solitudine. La combattente è, viceversa, la storia di una scelta scomoda e un inno al coraggio, che i fatti talvolta ci costringono a sfoderare, soprattutto quando siamo chiamati a “scegliere tra la vita e la morte” (De Gregori, sempre lui).
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