Abbracciato e stritolato dal Novecento, solo postumo Vasilij Grossman ha conosciuto la ribalta internazionale, dopo essere stato osteggiato in vita dall’Urss. Tra i maggiori scrittori del secolo scorso, affrontò in vita alcune delle maggiori tragedie della storia e fu tra i primi a testimoniare la Shoah. La sua storia è raccontata nella sua appassionata biografia “Le ossa di Berdičev”, scritta dagli storici John e Carol Garrard
L’avvento al potere di Stalin avrebbe avuto ripercussioni dirette su Grossman, sulla sua famiglia e sui suoi amici.
Non sarebbe stato – siamo a pagina 121 di un titolo difficile da far precipitare nel dimenticatoio – l’unico scossone del tempo a farsi sentire addosso, sulla pelle di uno dei maggiori scrittori del secolo breve. Non c’è grande evento storico del Novecento (la Shoah, l’occupazione nazista, il Terrore staliniano, le carestie in Ucraina) che non abbia abbracciato e, in taluni casi, stritolato l’esistenza di Vasilij Grossman, lo scrittore nato nel 1905 e morto cinquantanovenne. Due storici americani, John e Carol Garrard, dopo lunghissime ricerche e avvalendosi anche di documenti venuti alla luce solo dopo il crollo dell’Urss, hanno scritto un volume che merita stare al fianco dei grandi romanzi di Vasilij Grossman, a cominciare dal suo capolavoro, Vita e destino, nel catalogo Adelphi. Non una semplice biografia, ma il respiro a pieni polmoni di un’epoca.
Una biografia e le ferite del ventesimo secolo
Il libro in questione è molto probabilmente la migliore, più appassionata e dettagliata biografia del grande scrittore russo, autentico classico del ventesimo secolo. Non solo l’attività letteraria e le maggiori opere finiscono sotto la lente d’ingrandimento, ma anche tutti i passaggi fondamentali della sua vita. Le ossa di Berdičev. La vita e il destino di Vasilij Grossman (488 pagine, 29 euro) è edito da Marietti 1820, grazie alla traduzione di Roberto Franzini Tibaldeo e Marta Cai, con la supervisione di Giovanni Maddalena e Pietro Tosco. L’intento dichiarato dei due studiosi (che pubblicarono questo libro nel 1996) è non solo addentrarsi nel mondo di Vasilij Grossman, ma provare a comprendere le ferite e l’irrazionalità del ventesimo secolo, le guerre e le distruzioni, le radici dell’antisemitismo, gli ideali incarnati da Grossman (di famiglia ebraica, ma non religiosa) e dalla sua storia individuale, segnata dalla confisca del dattiloscritto suo capolavoro Vita e destino da parte dei servizi segreti sovietici nel 1961: il romanzo che era anche stato rifiutato da giornali e riviste, avrebbe visto la luce in Svizzera nel 1980 grazie a una copia trafugata e infine pubblicata in Italia grazie ad Adelphi, che ne ha proposto la versione definitiva e ampliata. Nato a Berdicev, cresciuto a Kiev, Vasilij Grossman aveva studiato chimica a Mosca, ma non era quella la sua strada, e infatti il talento letterario emerse prorompente, già negli anni Trenta e, ancor più negli anni Quaranta, da inviato di guerra, al seguito dell’Armata Rossa, tre anni in prima linea. Centrale, per il resto dei suoi giorni, il massacro perpetrato a Berdičev dai nazisti, con decine di migliaia di ebrei del ghetto Jatki uccisi, fra cui la madre di Grossman (lui sarebbe morto a 23 anni esatti da quella carneficina…), Ekaterina Savel’evna, gettata viva in una fossa comune, le sue ossa fra le altre ossa: un avvenimento vissuto dallo scrittore come una colpa da espiare. È uno di quei casi in cui la vita è inscindibile dall’opera.
La tragedia e i conti con se stesso
Che Vasilij Grossman emerge da questo libro, fra documenti inediti, testimonianze, verbali? Non è un’agiografia e tiene conto anche di qualche contraddizione dell’uomo (specie negli anni Trenta), ma mette a fuoco un artista della libertà in un paese grigio e alle prese con un totalitarismo soffocante, un uomo di grande onestà che con la propria opera letteraria denunciava le censure di regime, gli attacchi a oppositori e dissidenti e non accettava i tentativi di alterazione della storia di certe ricostruzioni ufficiali. E che non aveva esitato, fra i primi, ad accostare gli orrori della Germania di Hitler e della Russia di Stalin, convenendo sulla natura violenta di ogni ideologia. Prova ne è la testimonianza della fine degli ebrei in terra d’Ucraina, vittime incrociate dell’odio antisemita di nazisti e della stessa polizei ucraina. Un racconto osteggiato in epoca stalinista, qualcosa che per il regime rosso doveva essere cancellato dai libri di storia. Qualcosa di insopportabile per Vasilij Grossman, fra i primi e i pochi a raccontare la Shoah già mentre era in atto, tragedia che gli impose di fare i conti con le proprie origini ebraiche, come mai prima aveva fatto. Chiese di essere seppellito nel cimitero ebraico di Mosca. Ma la vedova non assecondò quei desideri, anzi…
Grossman, che non era mai stato un ebreo praticante, né aveva mai aderito ad alcun altro credo religioso, ora voleva riposare per l’eternità con il popolo ebraico. Era il suo ultimo sforzo per essere il figlio di sua madre.
Si conclude così il penultimo capitolo del volume, “Sepolto vivo”, quello in cui si racconta della totale emarginazione che toccò in sorte a Vasilij Grossman in vita, antipasto dell’ultimo capitolo, “Lazzaro”, ovvero la storia di come le sue opere, specialmente quelle ritenute più pericolose dai vertici sovietici, trovarono la via della pubblicazione all’estero grazie all’opera di coraggiosi amici dello scrittore. Un trionfo postumo che accresce le speranze di un futuro migliore.
I suoi libri testimoniano le conquiste di un essere umano che passò attraverso il fuoco dell’inferno e ne riemerse con l’anima intatta.
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