Nuova edizione per “L’amore negato”, ultimo romanzo di Maria Messina, fra i massimi autori del Novecento che hanno indagato la complessa condizione femminile. In queste pagine le vite e i sentimenti incompiuti di due sorelle, una più mite, l’altra più ribelle, ma destinate a un immodificabile sconforto…
Il riaccendersi dell’interesse su Maria Messina che è andato avanti nel corso degli ultimi anni è un toccasana per l’editoria di qualità, quella che crede nella costruzione di un catalogo e non in libri trasformati in cibo da fast-food, buoni per qualche mese e per mai più. Se si considera soltanto le pubblicazioni dal 2022 in poi ben cinque titoli della scrittrice siciliana sono riapparsi come novità sugli scaffali delle librerie, pubblicati da altrettante case editrici differenti. E negli ultimi cinque, sei anni non è andata peggio, a cominciare da un preciso disegno editoriale portato avanti da Croce, sigla romana indipendente che sta portando avanti un lavoro critico molto preciso, affidato a specialisti d’eccezione. Nell’ambito di questo piccolo boom va certamente segnalata la riedizione dell’ultimo dei cinque romanzi di Maria Messina, ovvero L’amore negato (142 pagine, 11,99 euro), la cui prima edizione risale al 1928. Lo pubblicano le Ad Astra edizioni, nell’ambito di una collana, Le Amarante, dedicata ai classici delle donne, per la quale sono già apparsi libri di Ada Negri, Mura (al secolo Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri) e Paola Drigo.
Prosa placida, dettagli minimi
I mondi statici e i sentimenti desolati che costellano molte delle opere di Maria Messina, rilanciata quando Leonardo Sciascia era ben più che un semplice consulente per la casa editrice Sellerio, tornano anche ne L’amore negato, romanzo lucidamente pessimista. Accanto a una precisa vivisezione della condizione femminile all’inizio del Novecento, a uno sguardo ineluttabilmente pessimista, a un placido andamento della prosa, che indugia su dettagli minimi, su incombenze quotidiane. Sono pagine di grandissima introspezione psicologica quelle che Maria Messina verga nel volume che è possibile considerare il suo sforzo supremo, prima della decadenza fisica degli ultimi anni: l’aggravarsi della sclerosi multipla la porterà a una progressiva invalidità e, infine, alla morte. I destini di due sorelle, la mite Miriam e la ribelle Severa, fanno i conti con sentimenti incompiuti, con l’amore vanamente inseguito, con l’illusione di mettere alle spalle un’esistenza grigia e avvilente.
Illusioni e sconfitte
L’aspirazione alla felicità delle due donne – figlie del maestro Santi e di Emilia, sorelle di Pierino, che soffre di un ritardo mentale – si dispiega diversamente. Nella vicenda, non ambientata in Sicilia, ma in un interno piccolo borghese delle Marche – tra arredi logori e dai colori stinti, fra mobili consunti – le due sorelle compiono un percorso diverso per giungere al medesimo non traguardo. Miriam («Avere poco più di vent’anni, e vedersi bellina, graziosamente vestita, non basta forse a riempire l’anima di contentezza»), ragazza dai sogni tutto sommato modesti, s’infatua e si illude di un sentimento nascente con Piero Gaddi, rampollo di una famiglia in vista. La sorella, col piglio di chi vuol liberarsi da un destino scritto, punta a fare la modista e mette a frutto un’eredità ottenuta da un’anziana, grazie alla dedizione mostrata al suo fianco. Ma le cose non sono così semplici… Destino avverso, sconforto, giovinezza perduta finiscono per accomunare entrambe. Non sono solo sorelle fra loro, ma lo sono con tante altre figure della narrativa di Maria Messina, spesso chiuse nel perimetro di una immodificabile clausura, sempre invischiate in spirali senza uscita.
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