Un romanzo magistrale che pesca nel quotidiano, una commedia amara, screziata di vecchi sogni. È “Brava gente” di Margherita Oggero che, con occhio attentissimo e lingua asciutta eppure ricchissima, scava nel multiculturalismo organizzato di un quartiere “difficile” di Torino…
Va ora in scena… Un insieme di ordinarie esistenze che, vuoi per caso, vuoi per l’intrecciarsi del destino, restituiscono un libro fatto di voci, situazioni, conflitti. Ecco come si potrebbe parlare del nuovo romanzo di Margherita Oggero, Brava gente (240 pagine, 19 euro) pubblicato da Harper Collins. Un racconto perfetto, solido e magistralmente costruito, che pesca nel quotidiano per squadernare una gamma di umanità che non hanno niente di speciale, anche se sono tutte uniche, e che non fanno niente di straordinario, anche se il loro apparentemente inspiegabile e involontario intrecciarsi l’una nell’altra crea la storia.
Il teatro delle apparenze
Brava gente, appunto, se si resta in superficie. Ma lo sguardo di Margherita Oggero sa scavare con saggezza e rintracciare quell’infra-ordinario che la penna restituisce sulla pagina in una commedia un po’ nera, un po’ attuale, venata di sarcastica ironia e insieme accogliente ed empatica comprensione.
Come in teatro la narrazione è preceduta dalla lista dei personaggi in ordine di apparizione, sul palcoscenico di una Barriera di Milano – periferia nord di Torino – dove si intrecciano le vite apparentemente banali del vicinato, le esistenze apparentemente vuote dei ragazzini, le vite apparentemente regolari degli adulti, le attività apparentemente quotidiane degli anziani. All’apparenza, tutta brava gente: la ragazzina un po’ baby sitter un po’ badante Debby, il padre camionista Oreste e la madre Linda, che vive in una realtà un po’ sua, e poi Albachiara la cartolaia e Venessa la shampista-manicurista, per non dire della vedova Caterina Mazzacurati, la cui vecchiaia le regala nuove speranze di avventure.
Lo sguardo dell’autrice si insinua tra le pieghe dell’ordinario, quadro dopo quadro va sempre più a fondo nella vita di tutti i personaggi che popolano questa commedia amara, screziata di vecchi sogni e di realtà da gestire senza pensarci troppo. Perché il quartiere addestra, è un percorso a ostacoli quotidiano tra livore e prepotenza di vite radicate in qualche forma di sfortuna o povertà, materiale o solo di spirito. Ogni quadro ha per titolo una catena di eventi che, poi, si incastreranno dando vita alle scene del racconto che avanza, e che vede piano piano coinvolti tutti i personaggi.
Torino, ma in periferia
Avanti e indietro nel tempo, Margherita Oggero ricostruire così le esistenze della brava gente che popola oggi un quartiere di quelli ritenuti “difficili”: piazza di spaccio, ritrovo di svogliatezze adolescenziali che colmano il vuoto addensandosi sulle panchine, di sbagli che tentano di saturarsi ricamando trantran ordinari, pazienza se a volte si sconfina nell’illecito per cercare di far tornare i conti: la linea fra il bene e il male, chi lo sa, a volte è confusa, vale tutto, o quasi.
Non ci sono giudizi morali a etichettare le esistenze di questa storia, solo un occhio attentissimo che osserva e scava nelle vite umane, entra nelle case, individua romanzi da pochi soldi utili a tenere accesi i motori della fantasia, trucchi rubati e infilati in tasca per un brivido estetico che sferzi la monotonia delle giornate, pensieri straordinari incastrati nell’ordinarietà di vialoni notturni, un cofano alzato per dare una controllata al motore in avaria.
Nebbioso anche in città, smog a livelli cinesi, aria definita irrespirabile ma bisogna respirarla per non morire in apnea. Tutto normale in una delle vie meno disastrate e più frequentate di Barriera di Milano, a due passi dall’ombelico del mondo, poi improvvisamente un botto della madonna, sirene che ululano, pantere della pula (tre) che inchiodano, agenti che si catapultano fuori, un deficiente ammaccato e stordito che esce dalla Porche 718 Cayman GT4 con una pistola in pugno.
Tutto accade nel multiculturalismo organizzato di un quartiere di periferia dove vigono le leggi non scritte eppure chiare a tutti: il girone dei cinesi, quello dei neri, quello dei marocchini, il set perfetto per le guerre tra bande, con la sua implacabile regia, e quel che resta offerto alla “brava gente” per la pièce quotidiana, un percorso in cui destreggiarsi senza troppa moralità ad appesantire le idee. Dietro i fili di questa narrazione, una lingua asciutta eppure ricchissima, sprofondata nel parlato ed elastica come gli stessi fili della vita, una penna alimentata a inchiostro shakespeariano, chat e tag sui muri scrostati di periferia, alla quale, nel bene e nel male, non sfugge niente.
Una lezione di scrittura
“Ci sono vite che nessun oroscopo riesce a pronosticare attendibilmente: troppe variabili, troppi eventi accidentali” rivela a un certo punto il narratore. Margherita Oggero parte proprio da questa incertezza: raccoglie i suoi personaggi, li dispiega su un palco di teatro e, dopo averci elencato i loro nomi e una breve descrizione, li osserva agire e collidere tra loro generando conflitti, esplosioni e novità. Una piccola e tuttavia immensa lezione sul narrare che scende a patti con la complessità, come rivela il narratore, e ne fa tesoro: “com’è difficile capire qualcosa di quello che passa per la testa a noi e agli altri”.
Quelle di Debby, dei suoi genitori, di Florian il camionista, della vedova Mazzacurati e di tutti quanti sono a volte storie improbabili a cui non crederebbe nessuno se fossero spacciate come vere. Eppure eccoli, protagonisti della commedia, tutti presi dalle loro singole esistenze complicate e improbabili in mezzo a “fili elastici che si tendono o allentano per incrociarsi in un punto stabilito eppure imprevedibile. Sia nella vita, sia nei romanzi”.
Da un racconto, sospeso tra cronaca mondana e realtà, è affascinata non a caso Debby, che segue le tracce delle vicende da spy story omicida della diva hollywoodiana Lana Turner. Lei, come tutti, è un po’ vittima del quartiere, un po’ semplice esemplare della “brava gente” a cui ogni giorno tocca vivere con quel che si ritrova intorno: “non li hanno addestrati da spie, non sanno niente di tecniche di depistaggio, sono solo brava gente che si destreggia come riesce fra i tanti triboli in cui si inciampa nella vita. Per propria scelta oppure no”.
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Buon pomeriggio.Vorrei esprimere a nome di Margherita Oggero l’apprezzamento.per l ‘ accurata ed esaustiva recensione.
grazie di cuore dell’attenzione