Un appunto genuino ed estemporaneo su “Diario di un’estate marziana”, il più recente libro di Tommaso Pincio, fuori dalla dozzina del Premio Strega. Inutile tenere il broncio per questa esclusione, è un libro che va gratificato di passaparola che l’aiuti a farsi largo tra i lettori…
Disclaimer: quella che state per leggere non è una recensione. Non è neppure uno dei miei consueti consigli di lettura. Si tratta, piuttosto, di un appunto breve e, soprattutto, estemporaneo riguardo Diario di un’estate marziana (180 pagine, 16 euro) di Tommaso Pincio, Giulio Perrone editore. Che lo si apprezzi per la sua genuinità.
Data l’impulsività e la informalità del pezzo, ve ne racconto anche la genesi. Da mesi, da quando, cioè terminai la lettura del libro -pressoché a ridosso della sua pubblicazione -, a scadenza quasi settimanale, mi sono seduta davanti al pc nel tentativo di abbozzare un parere a proposito. Più si accumulavano i giorni, più qua e là fiorivano articoli ricchi di dettagli e rilievi arguti, e più la mia difficoltà aumentava. “Avrei dovuto scriverne settimane fa” – mi dicevo – “quando se ne parlava poco. Quando non era stato ancora candidato allo Strega da Nadia Terranova con una presentazione che ne dice benissimo cose molto belle e alla quale nulla può essere aggiunto”. Pur rivendicando la ferrea imperturbabilità del mio giudizio, per nulla scalfito dai pronunciamenti altrui, la consapevolezza riguardo all’inevitabilità che le mie osservazioni si mescolassero al già detto, andando a paludarsi “nel troppo che stroppia”, mi induceva prudentemente a lasciar perdere.
Fuori dalla dozzina
Ebbene, oggi, che Diario di un’estate marziana è ufficialmente fuori dalla “dozzina”, il desiderio di scriverne si è rinfocolato. Libera dall’ansia da prestazione di trovare formule mirabolanti all’altezza dell’aspirante ad uno dei premi letterari nazionali più importanti, desistendo dal proposito di farne una lettura filologica assestata sul resoconto letterale della trama, provo a percorrere la via della pura suggestione emotiva suscitatami dal testo. Sono sicura che qualcuno intuirà comunque nel mio soliloquio un energico incoraggiamento a leggere il libro, destinato, nonostante la mancata ricompensa di una onorificenza ufficiale, a diventare un long-seller in ambito editoriale, ma soprattutto un classico in quello letterario.
La polvere magica…
Comincio dal curioso lapsus freudiano che mi è affiorato sulla punta della lingua quando ho cercato uno slogan che condensasse il mio entusiasmo: – “che bello il Pincio di Flaiano”. In realtà è esattamente il contrario. Diario di un’estate Marziana, formalmente, è, infatti, costruito intorno a Flaiano. Propone un’investigazione nella sua vita e nelle opere volta a restituircene il vero spirito, al netto delle “sovrascrizioni”, interpretazioni, fantasie stratificatesi sull’uomo, sull’autore, sul personaggio nei cent’anni dalla sua nascita, al netto, cioè, di quel fenomeno che una voce ad hoc della Treccani definisce «flaianite» intesa come «tendenza a citare o attribuire, talvolta anche a sproposito, battute e aforismi dello scrittore e giornalista». Dunque, più appropriato sarebbe dire: “che bello il Flaiano di Pincio”. Più appropriato, certo, eppure più limitativo. Preponderante la presenza di Flaiano nelle pagine, ovvio. Molta Roma – una città che «non è né buona né cattiva (…), inconoscibile, (che) si rivela col tempo e non del tutto» anche. Ma soprattutto c’è Pincio. Lungi dall’essere un fuori traccia, un neo, una diminutio, o la mera voce che narra e firma il romanzo, la presenza di Tommaso Pincio è la polvere magica che illumina ogni singola riga.
Malinconia e spaesamento
Tommaso Pincio è uno scrittore che sa come dire le cose, ma soprattutto ha cose da dire, e qui lo dimostra senza alcun dubbio.
Mi si passi l’ardita similitudine: la voce dello scrittore romano mi fa pensare all’albume dell’uovo. Ricca di nutrienti fondamentali, si presenta fluida, filiforme. Poi, sotto la sollecitazione del più piccolo, o estemporaneo, o casuale degli stimoli, acquistata consistenza, spessore, fermezza, si sposta in zona cuore saldamente montata a neve. Può rimanere candida meringa, oppure può essere incorporata agli altri ingredienti per conferire una struttura salda alla friabilità delle emozioni. È una di quelle voci che scava in sé per restituire agli altri consapevolezze. In sottofondo riverberano, e Diario di un’estate marziana non fa eccezione, un’amabile malinconia, un umanissimo spaesamento, un velato, garbato, timido mettersi a nudo – non c’è contraddizione in questo – che realizzano, così mescolati, una autenticità, una intimità che decretano l’instaurarsi del legame profondo con lo scrittore.
Lo scrittore sparisce in noi
Avevo promesso, mi ero ripromessa -meglio- di restituire in questo appunto la suggestione emotiva regalatami dal romanzo. Possiamo chiamarla identificazione? Empatia? «Forse. (…) Quando leggiamo un libro, siamo noi a sparire, a venire inghiottiti dalle parole impresse nel bianco (…) ed è giusto che sia così perché quelle parole sono state scritte per noi, perché le leggessimo, anche se al momento di scriverle non è a questo che pensava l’autore.» Ma qui è diverso. Qui siamo di fronte alle pagine di un Diario che non è stato scritto per noi. Ed è questo che «le rende diverse»: non siamo noi a sparire nella pagina ma è la persona che l’ha scritta che sparisce in noi.
Nel romanzo Tommaso Pincio si sofferma sulla parola “inutile”, che torna spesso «nel malinconioso mondo di Flaiano». La prendo in prestito anche io, per formulare l’invito conclusivo. Inutile lamentarsi che Diario di un’estate marziana abbia mancato la qualificazione allo Strega. Inutile mantenere il broncio. Si può facilmente rimediare leggendo il libro e gratificandolo di un compatto passaparola che l’aiuti a camminare, come merita, tra i lettori.
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