Come cambiano la società e il futuro in virtù di una genitorialità che, rispetto al passato, arriva più tardi? La mancanza di sacrificio è salvezza o condanna? Sono alcune delle domande di fondo de “Il padre infedele”, romanzo di Antonio Scurati che si interroga su dinamiche e rapporti coniugali a partire da una storia familiare ambientata in una Milano spettrale e vuota di sentimenti
Il padre infedele (208 pagine, 12 euro) di Antonio Scurati è un libro, edito da Bompiani, uscito dieci anni or sono, candidato al Premio Strega, che ha la potenzialità di restituirci un’epoca, anzi, due. Quella fino al 2013, di cui parla il libro, l’inizio Millennio comprensivo dello sconquasso mondiale dovuto al crollo delle Torri Gemelle in America, foriero dell’ancora attuale terrore islamista, e lo speculare sconquasso finanziario causato dalla bolla speculativa dei mutui subprime e quella odierna, per confronto. Eventi che, dal piano internazionale, si sono riverberati fino alle piccole famiglie italiane, insegnandoci, concretamente, come la globalizzazione abbia reso il mondo un posto piccolo e interdipendente: “La fine del secolo non prometteva niente, e avrebbe mantenuto la promessa […]. Ci saremmo scoperti più poveri dei nostri padri […]. Oltre le vetrine dei ristoranti il popolo avrebbe continuato ingozzarsi di cibo spazzatura e a sognare la tartare di coniglio invece della rivoluzione”.
L’impeccabile aplomb linguistico
L’autore traccia la storia dei suoi personaggi, usando anche punte di secco sarcasmo, confronta la realtà con le aspettative di pace e prosperità riposte nel Duemila dalle generazioni baby boom e dintorni, riscopertesi più povere dei loro padri, più spaventate dei propri antenati, senza averne la stessa tempra per affrontarne le asperità. Accasciate, ammorbidite dietro mode cittadine superficiali, piegate solo alla logica del consumismo, divinizzando la commercializzazione perfino dei bambini. Sono caustiche le pagine dedicate alla campagna di moda for kids di Dolce&Gabbana, presa come apice della superficializzazione (si perdoni il neologismo) di tutte le componenti umane, perfino l’infanzia, ultima frontiera del marketing. Un’ambientazione condizionante che aleggia su personaggi e situazioni, mettendo in risalto una crisi non solo sociale, ma generazionale e umana.
Sotto il profilo del linguaggio il libro è scritto in modo impeccabile, anche se (mea culpa? Sono al primo approccio con l’autore), ho avuto, sulle prime, la fastidiosa sensazione che sembrasse parlarsi un po’ addosso. Fosse cioè, ridondante. Molte subordinate, tante perifrasi, tuttavia senza lambire mai, neppure un po’, la prolissità. Ne ho compreso, solo strada facendo, la bravura. Una gestione assoluta di parola, periodare e ritmi di scrittura che alimentano avidità, curiosità e soddisfazione nella lettura.
Il lessico di Scurati è una costruzione lavorata, accurata e questo mi piace in un libro. Ho apprezzato la ricercatezza di alcune parole. Per chi ama l’italiano, continuare a impararlo tramite la lettura, credo sia un valore aggiunto irrinunciabile. Aprire il web o un dizionario cartaceo a fine lettura e imparare ciò che non si sapeva è un dono di chi usa in modo sapiente la penna. In un’epoca dove tutto è approssimativo, purtroppo ormai anche nei libri, questo aplomb linguistico di Scurati è encomiabile.
Genitori attempati
La storia, che non passa in secondo piano rispetto alla florida scrittura, porta con sé considerazioni sulla maternità e paternità attempata che fanno parte della nostra società, l’hanno cambiata, cambiandone la composizione sociale e disegnandone la mappa del futuro:“Anagraficamente incongrui alla prima paternità e alla prima maternità”, ci definisce lo scrittore. L’analisi del naufragio di coppia dopo l’arrivo della prole è impietosa; benché desiderata e immaginata, turba però equilibri e sentimenti. Tematica nota, è vero, ma il libro ha il pregio di attualizzarla, rispecchiando l’esatto momento storico e sociale, così facendone testimonianza.
Due generazioni a confronto attraverso la propria storia di figlio, l’allontanamento e il riavvicinamento al padre frutto dell’acquisto, a sua volta, della qualità paterna e l’esperienza da genitore, in prima persona, sempre grazie alla piccola Anita.
Passato e presente storico ne Il padre infedele si possono interpretare anche dal modo di vivere la famiglia e gli affetti. Scurati ne dà sulla pagina spaccati concreti, vividi grazie al linguaggio: dialoghi, flusso di pensiero, immagini scontornate con precisione dalla mente del protagonista Glauco Revelli. Quest’ultimo, laureatosi filosofo, poi si diploma chef, ritrovandosi a vivere sulle orme paterne, ereditando il suo avviato ristorante milanese, mentre insegue il sogno di una stella Michelin, con innovazioni gastronomiche imposte da mode e contaminazioni globali. Scapolo convinto e impenitente si convince (neanche troppo ironicamente) che avere una famiglia non è poi così male, grazie alla pubblicità del Mulino Bianco.
Paternità e maternità, divergenze e assonanze
E poi il racconto/raffronto della prospettiva femminile alle prese con la maternità, descritta con rispetto, e quasi un’aura di mistero, a confronto della veste paterna: “La nuova cultura del “nuovo padre” lo chiama a scendere in campo, ma per tutta la durata della partita gravidanza-parto, allattamento, e fino al primo anno di vita del bambino, il maschio non tocca palla”. Le rivendicazioni femministe, il cambiamento dell’universo femminile come autopercezione, la stessa fatica del parto, i cambiamenti psicologici e fisici che hanno ripercussioni sulla donna, in questo caso si accenna alla depressione post-partum. Scurati segna divergenze e assonanze tra paternità e maternità, evidenzia dubbi, paure, la goffaggine e le vittorie di una generazione maschile che è stata chiamata non solo in sala parto, ma anche ai piedi della culla, al pari di una donna e forse non è casuale che Scurati scelga per la storia anche una prole femminile.
Forte è poi il ruolo dell’ambientazione: il romanzo si svolge a Milano, che è descritta come una città umanamente spettrale, vuota di sentimenti, persa tra l’esagitata e sterile rincorsa del trend commerciale, dedita solo all’immagine. Città di moda, bevute e sostanze stupefacenti. Popolata da stranieri a cui le famiglie, troppo occupate dietro carriera e lavoro, hanno delegato i rapporti umani familiari con i loro anziani e bambini attraverso flotte di badanti e baby sitter, spersonalizzando anche quello che rimane del poco tempo da passare in famiglia oltre il lavoro. Il guadagno a cui tutto si dedica e si piega, divinità unica e assoluta.
È un bilancio umano sociale e personale in perdita quello che descrive questo padre infedele, innanzitutto a sé stesso, e poi a sua figlia: “Che cosa, dunque, ricorderà di me mia figlia? Le lascerò il piccolo dramma di un uomo cui non riusciva, per quanto si sforzasse, di conciliare la fedeltà del padre con la fedeltà a se stesso? Ho sentito di tradire mia moglie o mia figlia? Questo, non altro, devo confessare. C’è qualcosa di storto in un uomo quando l’intero esercito delle sue debolezze viene passato in rassegna dagli occhi di una bambina”, precisa quando racconta i suoi Demoni. Così sono intitolati i capitoli-intermezzo dedicati al sogno o alla realizzazione delle proprie fantasie erotiche. Evocate o vissute, il lettore è lasciato solo a interpretare queste avventure sostituto delle unioni sessuali con la consorte che lo rifiuta ormai da quando è nata Anita.
Famiglia, ma non più coppia
La storia di una coppia imperfetta: “Replicavo al gelo di mia moglie con i ghiacci del Pleistocene”, novelli genitori alla soglia dei quaranta anni, quasi fuori tempo massimo: “Noi uomini e donne di quella sterminata, infeconda maggioranza silenziosa eravamo troppo occupata far carriera e andare al cinema allo spettacolo delle 22,30 per potere anche fare dei figli”, il libro inizia con la descrizione dell’allontanamento. Seduti in cucina, Glauco viene gelato da Giulia con una confessione inaspettata sulla possibile fine del loro matrimonio: “forse, non mi piacciono, gli uomini”.
Così partono romanzo e revisione di una vita, oltre che del rapporto coniugale: “Dopo la rottura delle acque: avevamo cominciato a non essere più una coppia un attimo dopo essere divenuti una famiglia […]. Insomma, ci eravamo guastati”, così parte il desiderio del protagonista di capire cosa fare nel futuro, di cosa accusarsi nel proprio passato.
Ed è la stessa domanda con cui il romanzo saluta il lettore: quando le cose non vanno è il momento di resistere o di mollare la presa? Rinunciare di fronte ai problemi o farsi forza e tentare di andare avanti? E quando c’è una famiglia in mezzo alla crisi? Domande serie che caratterizzano la nostra epoca ormai da decenni. Si rinuncia più che resistere?
L’amore sempre presente
Forse è questo lo spunto che Il padre infedele cerca di dare al lettore, portandolo a riflettere su ciò che caratterizza la società odierna: la mancanza di sacrificio è salvezza o condanna?
E forse, anche se solo parziale, la risposta è quella che Glauco promette ad Anita: “Andrà come deve andare”, che è poi la stessa che si sente dire dal padre quando gli confida un suo momento di difficoltà economica: “Fai del tuo meglio, poi accada quel che deve accadere”.
Aspetti sociologici, cambiamento antropologico, prevalenza dell’immagine sulla sostanza, spersonalizzazione dei rapporti umani, insicurezza economica e precarietà emozionale, decadenza culturale, maternità e paternità contemporanee, queste le tematiche toccate dal romanzo rigoglioso di Antonio Scurati.
E poi l’amore. Sempre presente in questa storia. A volte trascurato, altre sognato, più spesso agognato, mancato, confuso col sesso. L’amore filiale o genitoriale o per nessun altri che sé stessi, comunque al centro dell’attenzione perché, in fondo, come recita uno dei tanti passi poetici disseminati tra le pagine: “L’amore è l’ultimo dei cieli che ci sono crollati sul capo. La sua idea romantica grava su di noi con il peso di una condanna a vita”.
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