È nella relazione di ospitalità – fonte di arricchimento, contro ogni pregiudizio – che lo straniero esce fuori da quella astrazione ontologica, ancestrale e a tratti fantascientifica che fa di lui un “illegal alien”: è la tesi del saggio di Michel Agier, “Lo straniero che viene”
Quanto più un paese costruisce barriere per difendere i propri valori, tanto meno valori avrà da difendere
Hans Magnus Enzensberger (1929)
Stranieri e mendicanti sono tutti mandati da Zeus.
Omero, Odissea, XIV
Il mondo attuale, globalizzato è attraversato da rotte, movimenti, scambi, flussi legati ad una demografia, economia, geopolitica, a condizioni di vite surriscaldate; nella vastità della comunità-mondo, che vede rarefarsi i confini e connettere i destini, siamo tutti stranieri e tutti cosmopoliti, in cerca di autodeterminazione, diritti, riconoscimento delle nostre identità, frutto di commistioni ed innesti, di stratificazioni impresse sulla nostra pelle come una delle tante declinazioni dell’umano.
Quegli ex colonizzatori adesso sovranità…
Ma è proprio in nome di una strumentalizzazione, ideologizzazione e astrazione del concetto di identità, di cui si fanno portavoce i governi degli Stati nazionali, in particolar modo quegli europei con un passato da colonizzatori e un presente da sovranisti respingenti ed agorafobici, che si nega all’Altro, allo Straniero che viene a turbare, intorbidare, occupare, espropriare stessità pure ed incontaminate, la condizione di xènos, ovvero di ospite-uomo che bussa alla nostra porta per essere riconosciuto da quel limbo di indeterminatezza subumana che è la frontiera, oltre la quale è confinato; il limes che separa i salvati dai sommersi della storia, ora muro spinato invalicabile e mortale, ora lembo di mare in cui annegare la sorte di ignoti, ora centro di accoglienza-ghetto in cui espiare la colpa dell’estraneità perturbante che grava da secoli sulla condizione di ogni novello Enea, esule errante; mentre ai cittadini delle nazioni occidentali, riconosciuti tali per ragioni storiche-postcoloniali, e quindi biologiche “razziali”, sociopolitiche ed economiche è concesso lo statuto di liberi, fluidi ed indisturbati viaggiatori del globo.
La rete solidale
È nella relazione di ospitalità, ed è questa la tesi sostenuta dall’antropologo Michel Agier nel saggio Lo straniero che viene (168 pagine, 15 euro), tradotto da Diego Guzzi per Raffaello Cortina editore, nella pratica quotidiana, capillare ed inizialmente asimmetrica della xenìa, che lo straniero esce fuori da quella astrazione ontologica, ancestrale e a tratti fantascientifica che fa di lui un illegal alien; è nell’accoglienza che si affranca dallo stigma di outsider, del corpo che viene dall’esterno per minare la compattezza territoriale ed identitaria del “noi”; ancora è nella rete solidale che viene meno gradualmente la condizione di foreigner, nella misura in cui è integrato nella trama dei diritti e dei doveri che lo eguagliano di fronte alla legge a tutti gli altri cittadini; ed infine, è nel confronto con chi l’accoglie che può disfarsi di ogni pregiudizio che lo condanna ad uno stato di stranger, portatore di stranezza, perché diventa occasione di conoscenza, arricchimento, apertura alla dimensione glocal e relativistica della cultura.
Contro cecità e indifferenza
L’ospitalità, dunque, secondo l’antropologo Michel Agier, è un gesto politico, dei singoli cittadini, delle associazioni, dei municipi che si oppongono alle politiche migratorie degli Stati nazionali e ne denunciano, con il solo farsi mano protesa ed ospitale, la cecità, l’indifferenza, ingiusta ed anacronistica che le permea ed obbligano a ripensare al mondo come progetto comune, cosmopolitico e alla cittadinanza come ad un diritto globale nomade per tutti.
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