“Il paradosso della sopravvivenza” di Giorgio Falco racconta la vita che stiamo vivendo tutti. Talmente sovrastimolata e sovralimentata, così ipercondita da renderci abulici, inappetenti e mai sazi. La racconta attraverso la vicenda di un adolescente obeso in un andirivieni esistenziale surreale e grottesco, con retrogusto tragicomico…
Scrivere qualcosa su un libro di Giorgio Falco non è applicazione facile, soprattutto se ci si approccia per la prima volta alla sua scrittura, così caratterizzata nel panorama narrativo attuale.
La sensazione, a caldo, è di trovarsi di fronte a chi ama gestire la parola, piegarla al pensiero, al messaggio, all’immagine, ma prima di tutto alla realtà.
Leggere il mondo
Quello che colpisce, de Il paradosso della sopravvivenza (256 pagine, 20 euro) l’ultimo suo nato per Einaudi, è proprio la capacità interstiziale di leggere il mondo e poi imprimerlo sulla pagina in modo esatto, millimetrico, attraverso un linguaggio accurato, tagliente, aggressivo, a tratti, e per nulla mitigato dalle mode politicamente edulcorate.
Ho trovato in Falco una straordinaria capacità di raccontare il piccolo della vita, il plancton esistenziale, temporale, ciò che caratterizza i secondi della quotidianità come una unica sequenza e forma il tempo, come identità macroscopica. L’insieme unitario, ma infinitesimale, che è la vita di tutti noi.
In questo spazio temporale, Giorgio Falco inserisce lo spazio fisico dei personaggi della sua storia.
Un adolescente e un’aguzzina, che è sprone…
Il suo protagonista è Federico Furlan, detto Fede da tutti, un adolescente che vive in una piccola provincia montana del nord italiano; un paesino immaginario, chiamato Pratonovo, dove la sua mole abnorme, grassa, cicciona, convive con l’indifferenza dei genitori che faticano ad accettare la sua obesità e con il bullismo dei coetanei che lo considerano alla stregua di un essere eccezionale, quasi un residuato di un altra epoca geologica.
Giorgio Falco, senza filtri, né accomodamenti, affronta la tematica dell’obesità e il peso che ha il corpo nelle nostre vite in questo preciso momento storico e culturale, libero da qualsiasi esigenza di edulcorare, di schermare: Fede è un ciccione e come tale lo chiamano tutti, come tale lo vedono, lo trattano, soprattutto Giulia, sua compagna di scuola e rampolla di una delle famiglie tradizionalmente più ricche del luogo che sarà per lui uno spartiacque formativo.
Giulia, sua aguzzina e insieme lo sprone per cambiare vita, è un personaggio molto interessante. Interprete di un gioco di specchi in cui si può identificare la società contemporanea nella sua veste astinenziale, anoressica, anzi, “mezza anoressica”, come la costruisce e definisce l’autore.
Sesso e cibo
Nella parentesi che Fede vive con Giulia c’è un alternarsi e un compenetrarsi delle due anime più controverse del gioco attuale della vita: il sesso e il cibo, con le declinazioni e le conseguenze che possono determinare sul nostro corpo e che dal nostro corpo prendono il via. Un gioco al massacro fatto di un intreccio perverso e devastante che Falco interpreta fino all’umiliazione di Fede, che seminerà in lui un sussulto di dignità, provocandone la ribellione, in mezzo a tanta, desolante passività che affligge lui e tutti i personaggi della storia.
Quel che lo scrittore trasmette è infatti un clima fermo, statico, senza anima. In un gioco di parole: paradossalmente senza “corpo”.
In mezzo a questa quiete avvilente è come se le persone, e Fede in particolare, lievitassero loro malgrado, si fagocitassero tra loro senza saziarsi mai. Si alimentassero di aria rarefatta.
Descritto come un personaggio abulico, figlio di genitori scialbi, Fede ha un padre che si è accontentato del posto fisso alle poste, del matrimonio conveniente con la figlia di un costruttore, che gli ha risparmiato un mutuo sulle spalle tutta la vita, permettendogli di abitare una delle tante case realizzate nella zona, e una madre che continua ad alimentare la sua indolenza.
La precarietà lavorativa
Quando Fede decide di prendere in mano le redini della sua vita e smette di assecondare le perversioni alimentari e sessuali di Giulia, si reca a Milano dove, malgrado gli stimoli e malgrado riesca finalmente a “percepirsi” e a mostrare il suo corpo, cercando di dominarlo, andando in piscina, facendo sport, limitando il cibo, tuttavia non troverà una dimensione attiva. Continuerà a mescolarsi con chi, come lui, nel proprio corpo ha il suo limite.
Anche la sua nuova storia d’amore, con Barbara, detta dai colleghi di entrambi Barbie cassonetto per via del peso che la accomuna a Fede, sarà un fallimento dovuto alla difficoltà di gestire il reale, riducendo così in fumo l’unica possibilità di dare un sapore concreto alla sua vita, vivendola in maniera quasi normale, almeno dal punto di vista sentimentale.
In questa parentesi milanese, però, Falco coglie l’occasione per re-introdurre un tema a sé caro: la precarietà lavorativa. Il dissidio tra preparazione accademica e possibilità lavorative reali che affligge le generazioni del nostro paese, ormai da decenni. Così anche Fede si ritrova a saltare da un posto di lavoro a un altro, di fatto, bruciando la sua laurea in Storia presa con 110/110: un ciccione laureato, anche se senza lode, come pensa suo padre tra sé e sé, mentre tornano insieme a casa dall’Università, il giorno della discussione.
Il paradosso della sopravvivenza racconta storie pallide, insapori, posti di lavoro improbabili come quello in cui l’unica mansione h24 è quella di mettere un tag ai film porno, cercando di individuarne uno che sia “per sempre”, in grado cioè di attirare la massima attenzione degli spettatori che si cibano, anestetizzandosi, di pornografia, come alternativa a una vita vissuta solo a metà nella quale ogni desiderio è castrato dalla realtà.
Nichilismo e vite marginali
Giorgio Falco ci serve piatti freddi, insipidi, con poche calorie. Il nostro corpo rimane tiepido durante la lettura, non ci sono pagine in grado di alzarne la temperatura e questo non per scarso valore del libro, notevole anche solo sotto il punto di vista della scrittura, ma per la consapevolezza che quanto lo scrittore racconta è la verità, e rappresenta amaramente quello che ci circonda.
Corpi che spesso non corrispondono a un’anima, o se questo accade, non vi si riconoscono, scissi come sono tra ciò che è il desiderio e ciò che è concreto. Realtà slabbrate, che faticano, talvolta, a uscire allo scoperto, mascherate dall’apparenza che la comunità, piccola o grande che sia, si fa bastare.
Una visione nichilista, ancor più che cinica, sottolinea vite marginali, che non si illuminano mai, se non nel momento della caduta. Storie che si modificano per destino e che non hanno riscatto.
La stessa parabola di Fede lo dimostra. Un andirivieni surreale e grottesco che lo riporterà alle proprie origini esattamente così come vi era fuggito, con l’aggravante dal sapore tragicomico di ciò che è accaduto, nel frattempo, alla sua famiglia, e che non sveliamo in primis perché parte del finale e poi proprio perché emblematico del significato che ci sembra di aver individuato nella storia scritta da Giorgio Falco che ogni lettore ha il diritto di trovare da sé.
Vacuità e contraddizioni
Il paradosso della sopravvivenza è un libro che lascia interdetti; che forse si lascia capire, sedimentando, facendo passare il tempo; molto più stratificato di quello che può sembrare a una prima lettura, un millefoglie narrativo il cui retrogusto iniziale scompare e lascia il posto a gusto chiaro, netto solo dopo la completa metabolizzazione.
Viceversa, è un libro che non vuole nascondere niente; incarna vacuità, contraddizioni moderne e contemporanee, a partire dal riferimento alla sindrome da cui deriva il titolo, e che tradotto in una lingua più comune e triviale potrebbe essere “quel che non strozza ingrassa”, ovvero la strana teoria secondo la quale ciò che negli obesi sembra un problema grave di salute in realtà li proteggerebbe da altre malattie; una storia che evidenzia disagi sociali e generazionali ignorati eppure ormai preponderanti.
Il paradosso della sopravvivenza di Giorgio Falco non ingrassa la mente del lettore con panegirici strani di lingua e trama, è lì, magro ed essenziale e racconta senza farciture la vita che stiamo vivendo tutti. Talmente sovrastimolata e sovralimentata, così ipercondita da renderci abulici, inappetenti e soprattutto, mai sazi.
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