Chi legge “Emersione” di Benedetta Palmieri prova disagio e compassione. La sua penna precisa, sicura, cristallina, segue un sentimento tormentato, quello vissuto dalla protagonista: l’amore come scissione, scontro e allontanamento, anziché vera condivisione e incontro di anime…
Ci sono relazioni che consumano e spengono, ma a noi sembrano uniche, straordinarie, irrinunciabili, addirittura invidiabili. Ci sono amori in cui ci rintaniamo e, più o meno consapevolmente, ci occultiamo, non splendiamo ma, ostinatamente, li abitiamo e “viviamo”, finché qualcosa si spezza, forse è la vita stessa a metterci in salvo, anche se a noi sembra accanirsi ferocemente contro, straziarci e privarci dell’unica “cosa” che la rendesse degna di essere vissuta e rendesse noi, per suo tramite, alla sua altezza e, dunque, degni di viverla giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, attraverso il filtro luminescente di quell’amore esclusivo e irripetibile.
Straniti, perplessi, svuotati, ci guardiamo attorno, dopo avere amato a quel modo, dopo avere vissuto simili “amori”, e contempliamo il deserto, sperimentiamo l’arsura dell’assenza (apparente) di emozioni e passione, di vita “vera”, ci fustighiamo, ci colpevolizziamo, ci incamminiamo verso una discesa agli inferi — i nostri — che, solo se e quando sarà compiuta, potrà significare ripresa, rinsavimento, rinascita.
È quanto descrive e racconta Emersione (176 pagine, 17 euro) di Benedetta Palmieri, Nutrimenti edizioni.
Relazione e rottura
Nel romanzo, la protagonista, dopo avere saputo che l’ex-compagno si è tolto la vita, inizia a scrivergli una lunga lettera in cui prova a prendere commiato da lui, cercando di rintracciare e ricostruire i ricordi felici, ma anche quelli meno gradevoli, gli allontanamenti e le cesure che hanno costellato la relazione, fino a causarne la rottura, punto di non ritorno per la coppia.
Parola dopo parola, ricordo dopo ricordo, emergono le insicurezze, i sensi di colpa, la costante sensazione di inadeguatezza che hanno frenato la donna nel corso della relazione, tanto da impedirle non solo di ricucire lo strappo, che ha definitivamente allontanato i due, ma anche e soprattutto di riuscire a portare a compimento il proprio progetto di vita, realizzandosi sul piano professionale, tramite la scrittura, come pure sul piano relazionale, attraverso la conoscenza e l’incontro con gli altri, gli estranei e gli amici.
La penna di Palmieri, precisa, sicura, cristallina, restituisce ogni minuto pensiero, ogni vissuto e sentimento della protagonista, tanto che, pagina dopo pagina, ogni suo tentennamento, ogni suo dubbio si insinua, avanza, si consolida e “monta”. Chi legge segue le evoluzioni, o meglio, le involuzioni di tali pensieri, il martirio autoinflitto da quest’anima sgomenta, ferita, impotente di fronte alla morte e al rimpianto di ciò che non è stato — un rapporto sereno e felice, vissuto in un quotidiano scelto e voluto, giorno dopo giorno, dai due amanti — e, insieme, di ciò che invece è stato: per lo più, l’amore come scissione, scontro e allontanamento, anziché vera condivisione e incontro di anime.
La lunga apnea
Chi legge prova disagio, compassione, talvolta addirittura fastidio, per la donna che, attraverso riflessioni e ricordi, si rivela insoddisfatta e inappagata da un rapporto e da un uomo che le hanno procurato, sostanzialmente, esitazioni, timori, precarietà e assenze, portandola a ripiegarsi su sé stessa, a chiudersi al mondo e alla vita stessa, per scivolare progressivamente nella depressione.
Saranno l’analisi e un’altra perdita, quella di Nicola, amico fidato di lunga data, a consentirle di comprendere la differenza esistente tra chi, suo malgrado, l’ha lasciata, ma le ha lasciato il segno della propria presenza, e chi, pur rimpianto e profondamente amato, le ha inflitto la punizione estrema del proprio definitivo negarsi a lei, attraverso la morte autoinferta, lasciandole soltanto rimpianti, non detti e vuoti. Potrà così finire la lunga apnea della donna rispetto al proprio sentire, alle proprie aspirazioni e passioni. Nelle ultime pagine, infatti, con un colpo di reni e qualche bracciata, la protagonista fa un balzo veloce in avanti (forse, anche in alto) e riemerge, rinasce — e noi con lei. Ritrova sé stessa e torna a vivere e scrivere, riportando il lettore in superficie, ridonandogli luce, ossigeno, movimento, perché è questo ciò che fa la letteratura: scarnifica, ustiona, viviseziona le nostre vite, facendone emergere le falle, la materia velenosa, mortifera e putrescente, per poi, quando vuole e riesce, farne sgorgare, alfine, la linfa, ciò che le rende uniche e straordinarie: la magia del Sé che si realizza e si accetta, si ama, relazionandosi con ciò che lo circonda, la Bellezza, gli altri, la Natura.
Tra Napoli e Stromboli
Nalle pagine di Emersione rilucono e svettano l’amore per Napoli, città natale di Palmieri, la passione per la parola, letta e scritta, quella per il cinema (di Kim Ki-Duk e Kurosawa) e per Stromboli, terra d’elezione per l’autrice.
Emersione, dopo il successo de I funeracconti (Feltrinelli, 2011), è davvero un gradito e solare ritorno alla scrittura di Benedetta Palmieri.
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