Difficile dare un giudizio compiuto su “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino, che bisognerebbe leggere più di una volta per entrare pienamente nelle storie di alcuni ragazzi giunti in Italia dopo lo scoppio della guerra nei Balcani. Scrittura come sempre intensa ed evocativa, ma talvolta il ritmo rallenta più del dovuto
Sulla maestria letteraria di Rosella Postorino non c’è molto da discutere. È brava, è capace di costruire storie emozionanti, sa speziare le pagine con una scrittura intensa, raffinata, evocativa, quasi mai ridondante. Eppure, l’ultima sua fatica Mi limitavo ad amare te (352 pagine, 19 euro) edita da Feltrinelli, pur conservando tutti i tratti distintivi dell’autrice di origini calabresi, è risultata poco avvincente e, addirittura, noiosa in alcuni fraseggi.
La causa potrebbe rinvenirsi nell’eccessivo tratteggio caratteriale dei protagonisti – ragazzi arrivati in Italia da Sarajevo, all’indomani dello scoppio della guerra nei Balcani -, o in una storia troppo ampollosa, spalmata in un arco temporale di circa venti anni, dove i destini, le solitudini, le rabbie di Omar, Nada, Danilo, Sen e Ivo si intrecciano tra loro in un perimetro di vita scisso tra la voglia di ricominciare e quella di ritornare a casa propria. Ispirata da fatti di cronaca realmente accaduti e molto simili a quelli descritti, la Postorino racconta i drammi di un conflitto etnico scoppiato nel cuore dell’Europa, ma soprattutto le lacerazioni che questo ha prodotto nei cuori di chi, quei giorni, li ha vissuti drammaticamente sulla propria pelle.
Dovrebbe essere letto due volte il libro in questione, perché metabolizzarlo non è cosa semplice: una prima lettura per farsi largo tra le storie di questi profughi e una seconda per riannodare i fili di una narrazione in cui talvolta il ritmo rallenta più del dovuto. Difficile, dunque, dare un giudizio compiuto. Meglio attenersi ad una valutazione che prenda forma con il tempo, che sappia mantecarsi e imboccare la giusta direzione.
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