Le parole di “Fame d’aria”, nuovo romanzo di Daniele Mencarelli, volano leggere e tranciano come un coltello, sono come macigni contro la nostra coscienza intorpidita. Protagonisti Pietro e Jacopo, padre e figlio, parte di un’umanità che si chiede perché il sole continui a splendere se il loro cielo è scuro e l’aria che li circonda è gelida. L’esserci per l’altro è, comunque, la risposta…
È doverosa una premessa. Non sarò obiettiva in questa recensione, perché questo libro mi ha strappato il cuore con violenza, con la forza della verità, che non può essere sempre edulcorata per non urtare chi si professa sensibile. Chi è davvero toccato dalla grazia del sentimento della compassione non si sottrae di fronte allo spettacolo dolorante e disturbante della sofferenza dell’altro, ma sospende il cuore in una brocca di silenzio e tende una mano, soprattutto laddove nessun’altro lo fa.
Fame d’aria (171 pagine, 19 euro), edito da Mondadori, ultimo parto della straordinaria penna di Daniele Mencarelli, è un libro che va letto, assolutamente. È un’occasione di crescita e di riflessione che non può essere tralasciata, perché è un’opera che gronda autenticità da ogni riga, che si infrange in maniera prepotente contro tutte le nostre armature.
Non si è più gli stessi dopo, questo è certo …
Sogna, ragazzo sogna
La scrittura spietatamente misericordiosa di Mencarelli, non solo in quest’opera ma in tutti i suoi romanzi e nelle sue delicate raccolte poetiche, rappresenta il riscatto a secoli di ghirlande fiorite gettate ai piedi di idoli di carta come Thomas Mann, che è stato certamente uno scrittore raffinato ma che umanamente rappresentava quanto di peggio si possa immaginare.
Leggere i libri di Mencarelli, e forse Fame d’aria più di ogni altro, ci eleva a forme di consapevolezza tanto più alte quanto riusciamo ad abbassarci sotto il livello della tollerabilità del dolore. Canta Vecchioni “Un uomo vive delle sue parole o non vive più”, e quest’opera prende vita sotto i nostri occhi che rimangono di pietra, perché oltre una certa soglia di sofferenza non è più concesso neppure il pianto.
Pietro e Jacopo, padre e figlio avvinghiati stretti da un destino che mentre leggi ti fa quasi sperare che Dio non esista, perché ogni croce è un uomo e ogni uomo ha la sua croce, ma non tutti i chiodi penetrano nell’anima allo stesso modo. Alcuni sfiorano appena la carne, altri si conficcano così in profondità che persino respirare è un volo oltre recinti di schiavitù.
Daniele Mencarelli pare dire, ad ogni disperata sillaba, cosa ne sapete voi se non avete pianto lacrime di sale? Non giudicate se non avete impresso a fuoco nella vostra carne il marchio del dolore e dell’oblio.
Pietro ad un certo punto, piegato da anni di illusioni, preghiere ai limiti delle bestemmie, incazzature che girano a vuoto come i pensieri del figlio, che ha perso su tutti i fronti nella lotteria genetica, esclama in un moto di rabbia
Vi riempite la bocca, ma non ci state voi all’inferno
Che è la frase più ferocemente vera di tutto il libro.
Mencarelli non ha paura della peso delle parole, le scaglia come macigni contro la nostra coscienza intorpidita da troppe giornate passate a scrutare con desolato compiacimento le nostre pozzanghere di pensieri, per evitare di guardare l’oceano di sconfinata tristezza che magari ci abita accanto.
Deve fare male
Fame d’aria non offre un orizzonte di consolazione, offerto in un vassoio insieme al tè delle cinque, scuote ogni fibra, ogni palpito della coscienza del lettore, fa male, deve fare male, perché non tutto il dolore può stare in una lacrima, a volte occorre sollevare i pugni contro il mondo perché tanti, troppi perché rimangono fili sospesi di domande che non troveranno mai una risposta.
Le parole in questo libro planano sulle pagine come se volteggiassero leggere, sospese in aria, inframmezzate da lame di coltello con cui Mencarelli trancia il cuore di chi legge, descrivendo con lucida pietà lo strazio infinito dell’impotenza di fronte allo sguardo di una Medusa che peggio ancora dei corpi pietrifica le menti, condannate ad una nebbia eterna che finisce per avvolgere tutto, anche l’amore.
I genitori dei figli sani non sanno niente
Questa espressione tristemente lapidaria scolpisce drammaticamente la realtà di mancate risposte a infinite domande.
La sensibilità destrutturante di Daniele Mencarelli rende in maniera precisa, ma carica di immensa dignità, la descrizione di vite su cui l’umanità sorvola con milioni di buone intenzioni, e sappiamo tutti in quale antro spettrale il pavimento sia lastricato di ottime intenzioni …
Urlando contro il cielo
Fame d’aria rappresenta il grido, rivolto ad un universo cullato da sogni di vite fittizie, della solitudine degli afflitti, degli ultimi degli ultimi, quelli per cui bisogna faticare davvero per poterli sollevare dal loro letto di lamine di miseria.
Esiste un’umanità che, ogni mattina che Dio manda sulla terra, si chiede perché il sole continui a splendere se il loro cielo è scuro e l’aria che li circonda è gelida, senza neanche un lumicino a scaldare di tenerezza una vita che si trascina senza esaurirsi, nell’agonia lacerante di un fine pena mai.
Mencarelli non vuole però lasciarci orfani di una speranza, che rappresenti il frutto maturo di scelte consapevoli. La strada è sempre la stessa, dall’alba dei tempi, l’esserci per l’altro, senza compromessi con la nostra coscienza impigrita e il desiderio prepotente di girare il viso verso aurore meno faticose.
L’Amore è fatica, ma ripaga sempre, chi lo riceve ma ancor di più chi riesce a farne dono proprio a chi non ha nulla, veramente nulla, per poter ricambiare, a volte nemmeno un sorriso, perché la vita lo ha privato da sempre di quell’arco meraviglioso che si dischiude al mondo quando siamo felici.
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