Nato da un’urgenza e disciplinato da un rigoroso rituale di scrittura, “Il libro della pioggia” di Martino Gozzi è un inventario delle cose da ricordare dell’amicizia fraterna con Simone, scomparso a causa della leucemia. Pagine colme di dolore, ma anche della grazia che accompagna la vita, in un volume che dichiara subito la sua natura ibrida: non lascia andare la memoria dell’amico di gioventù e ne consegna la voce al mondo
Memoria, lacrime, scrittura: sono i tre elementi che Martino Gozzi (nella foto di Paolo Properzi) ha intrecciato insieme nel suo Il libro della pioggia (192 pagine, 17 euro), uscito per Bompiani e dedicato all’amico fraterno Simone, della cui malattia e scomparsa l’autore decide di raccontare in queste pagine. Un testo che fonde insieme l’intensità del dolore profondo e la consapevolezza che progressivamente accompagna una discesa negli abissi, accarezzando il rapporto di Martino Gozzi con la pagina scritta e arrivando cristallino, nella sua sincerità, al lettore.
“Questo libro è per Simone”
Ci sono una bambina e la sua disarmante innocenza all’inizio di questo libro: Clementina, la figlia del protagonista, ha il desiderio di conoscere la storia dell’amico di papà, che oggi non c’è più. L’amico è Simone, bassista, amante della musica, il migliore amico di Martino, strappato alla vita da una leucemia che, nel giro di pochi anni, non ha lasciato scampo. È così che Il libro della pioggia cala il protagonista e il lettore dentro alla narrazione del dolore: dolore universale, dolore personalissimo di un’amicizia messa alla prova davanti al più inaspettato degli ostacoli, la malattia che attacca una giovane vita, fino a consumarla.
È nel ricordo dell’amico Simone, ma anche nel parallelo percorso di esplorazione della propria reazione emotiva alla morte, che questo libro di Martino Gozzi prende forma e procede. Il decorso della malattia, arrivata all’improvviso col suo carico di imprevedibilità, una fine che il lettore già intravede, e dalla quale Martino riparte per un percorso all’inverso, ritrovando il suo Simone, l’amico della giovinezza, dei concerti spensierati, della musica ascoltata in macchina, dei momenti decisivi, quelli che restano incollati addosso, mattoncini delle persone adulte che siamo. Martino scrive al Simone che non c’è più per ricordarlo: sono brevi racconti, lettere staccate dal corpo del libro e in corsivo. Sono una sorta di doppio delle tracce audio che Simone proponeva al suo amico: sostengono scene, momenti epici, passioni condivise, riflessioni e ricordi impigliati nella memoria. Una specie di «inventario delle cose che non voglio dimenticare», pieno di tutti i momenti che hanno reso l’amicizia tra i due unica.
Il nome di Clementina arriva dalla stessa esigenza: la volontà di isolare un momento di felicità nel flusso inarrestabile del tempo, salvarlo alla furia delle sberle impreviste della vita. Ed è allora proprio Clementina che, nella sua piccola semplicità, non toccata dal dolore profondo ma affascinata dalle storie, vuole ascoltare i racconti di Simone. Il libro della pioggia è la volontà di non lasciar andare la memoria di un amico che non c’è più, e attraverso la scrittura consegnarne la voce al mondo.
Pioggia come lacrime
C’è tanto dolore, in queste pagine. Dolore di malattia, di lotta, di morte, di esiti fatali. Dolore di ingiustizia e di inadeguatezza, ma anche consapevolezza dei propri limiti emotivi, e della grazia che accompagna la vita. Sarà per una forma di rigorosa educazione sentimentale, per una riservatezza estrema o un certo understatement, come lo chiamerebbero i torinesi – e di Torino Martino Gozzi è diventato ormai un abitante, come racconta nelle sue pagine –, ma ciò che il protagonista si ripete fin da bambino è che bisogna essere forti, che non si deve piangere, va mantenuto il controllo.
Dunque Martino non piange, ostinatamente non si lascia scalfire in superficie e non entra a fondo nel dolore che, accerchiando la vita di Simone, contagia anche la sua. «Mantieni la calma, tieni a bada le emozioni» dice la voce interiore anche nei momenti più duri, ma, dentro, le incrinature iniziano a irrigare il senso di tutto, spezzettandolo, rischiando di disperderlo. L’esperienza del dolore, della malattia, della perdita soffoca in un non detto che resta tutto interiore anche se vissuto in prima linea, non raccontato: un nodo non sciolto nemmeno davanti a se stessi. Un’esperienza forse soffocata perché mai ammessa, taciuta con la forza del controllo, la miope sensazione di poter gestire tutto al meglio, di potersi mettere al sicuro da onde di maremoto fortissime.
Onde che, prevedibilmente, arrivano, scoperchiando la botola dove Martino si era rifugiato. L’esperienza del dolore altrui viene introiettata e diventa esperienza del confronto con la fragilità degli esseri umani: è con questo che Martino deve fare i conti, con la perdita, con l’impossibilità del controllo, con le emozioni che deflagrano. Finché le lacrime, faticosamente e alla fine di pochi difficilissimi anni, non arrivano metaforicamente da fuori, dal cielo: sono la pioggia del titolo, che vela di emozioni il finale già noto e sviscera tutto ciò che, sepolto nel dolore, Martino ha lasciato stratificare dentro sé per anni.
A cosa serve la scrittura
L’aggravarsi della malattia di Simone e il percorso di riscoperta di Martino procedono in parallelo con il racconto di un’esperienza che lega Martino alla scrittura. Si tratta di un corso di scrittura in un reparto oncologico che è chiamato a progettare e davanti al quale, all’inizio, si sente inadeguato. Scrivere però è ciò che lo ha da sempre accompagnato, un’ambizione, un mestiere, un dono forse, e un bisogno intorno al quale si trova a riflettere sotto una nuova luce. Può la scrittura alleviare il dolore?
Forse no, ma quello che può fare è aiutare a dare un senso a ciò che accade. È con la scrittura che Martino può ridisegnare ciò che è accaduto alla sua amicizia con Simone: è una nuova scrittura, fa un passo indietro rispetto all’ambizione professionale e riprende contatto con la realtà, si immerge tra le persone cercando un rapporto con la vita. «Per quanto dolorosa, la nostra esperienza può diventare un dono per gli altri, se raccolta dentro una storia. E in questo processo può rivelare qualcosa anche a noi stessi»: la scrittura è racconto che spiega, ma anche una strategia. Un puntello, una sicurezza che illude di poter salvare qualcosa mentre tutto si sgretola. Un porto sicuro, l’unico modo per portare alla luce emozioni altrimenti inesprimibili.
Così Martino riscopre la scrittura e sé, attraverso la scrittura: ripercorre i suoi ricordi con Simone, si guarda dentro arrivando a toccare le corde della consapevolezza che non esiste niente di totalmente sicuro, protetto, controllabile. In questo mondo che si sgretola la scrittura diventa un’amica e un sostegno, lo schiaffo di un confronto. Perché è esattamente come la vita: non è mai sicura.
Dove posizionare, in libreria, il Il libro della pioggia di Martino Gozzi? Si tratta di un memoir? Forse sì, forse no, oppure forse è qualcosa di nuovo, nato da un’urgenza e disciplinato da un rigoroso rituale di scrittura, come racconta il suo autore. Quale sia il confine tra la fiction e la verità, quale la formula che collega la memoria e il suo racconto forse, semplicemente, non è la domanda da porsi davanti a un libro che si dispiega nel suo rapporto con la scrittura e dichiara apertamente la sua natura ibrida: «Come ogni libro basato sulla memoria, anche questo è un’opera di finzione. Come ogni opera di finzione, anche questo libro è basato sulla memoria». Non dovrebbe esserci un’urgenza necessaria di classificazione per chi approccia questa scrittura ma, piuttosto, la pura e semplice individuazione del nocciolo intorno al quale si dispiega la storia di Martino e Simone: un desiderio di scrittura al capo opposto del quale trovare un’amicizia, un dolore, una ricerca, e tutti quegli interrogativi spiazzanti che scaldano le lacrime e ci rendono esseri umani.
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