Come un Nick Hornby nelle sue migliori performance. Con “Innamorato”, Marco Drago ha scritto un libro che è un romanzo su un’ossessione e un memoir, sincero ed efficace: marea di picchi emotivi e nostalgie che sale ad animare le pagine
Marco Drago, l’autore di Innamorato (192 pagine, 18 euro), Bollati Boringhieri Edizioni, è tra i miei contatti di Fb. Non saprei risalire al quando e attraverso quali vie siamo diventati “amici” sul social di Zuckerberg. So solo che, quando ho cominciato a chiacchierare con lui a proposito di libri, ignoravo che fosse scrittore, traduttore, conduttore radiofonico, fondatore e direttore di riviste letterarie. Confesso di avere trasposto anche alla socializzazione on-line l’attitudine che ho nella vita reale di aprirmi con facilità ai rapporti umani e soprattutto di dialogare non ponendomi il problema del peso specifico dei miei interlocutori. Faccio amicizia con tutti senza badare a chi siano. Non verifico i talenti, i meriti, il valore, il tesoretto di “prodotti dell’ingegno” che hanno in cassaforte. Parto dal “pregiudizio” che siano persone ordinarie come me. Quando poi verifico le loro identità, con imbarazzo devo ridimensionarmi, “misurarmi la palla” e porre “la faccia mia sotto i piedi loro e ci possono pure ballare sopra” (cit.).
Recuperando italiani…
Si, lo so, il preambolo mi sta venendo piuttosto lungo. Ancora un attimo di pazienza, qualche altra precisazione prima di giungere al dunque. Non avevo mai ancora testato il Drago scrittore. A parziale scusante del buco che mi trovo a colmare rispetto ai suoi libri, adduco gli anni che ho passato all’estero in era pre-internet (vero e proprio periodaccio per gli amanti della letteratura e della narrativa contemporanee). L’assenza del web e di supporti digitali mi costrinsero allora a leggere soprattutto in inglese o i pochi italiani che riuscivo a ficcare in valigia. Naturale che mi sia persa molti talenti nostrani, al cui recupero mi dedico adesso con alacrità.
Di Marco Drago condivido spesso gusti e pareri. Ho avuto modo di apprezzarlo recentemente anche nella veste di traduttore. Il dunque è che Innamorato si è configurato come tappa logica nell’evoluzione di questa conoscenza.
Il romanzo si fa leggere bene e in fretta.
Provo a spiegarvi il perché.
Comincio dal “copia-incolla” del primissimo parere scritto a caldo su fb:
“Letto in velocità, perché è un testo che, secondo me, va letto così, come su un tapis roulant, per goderne al meglio tutti gli effetti corroboranti. La piacevolezza (…) restituita dalle pagine è quella alla Nick Hornby in una delle sue migliori performance”.
Identificazione perfettamente riuscita
Sollecitata a sintetizzare ulteriormente in una sola battuta, non me la sono sentita di avallare quel “bellissimo” che mi veniva suggerito. In fatto di superlativi in riferimento ai libri tendo a essere molto parsimoniosa. Quindi ho schivato, preferendo assestarmi su un franco, anche se meno enfatico, “bello”. Il romanzo – lo ribadisco stentoreamente – mi è piaciuto molto. Oggettivamente è scritto bene. Non percorre, certamente, lo schema del perfezionismo da esercizio di stile. La voce di Drago mantiene un gradevole fruscio di sottofondo. È randomica nella ricerca degli episodi da recuperare, sincopata, vivace nel raccontarli. Spesso inciampa in ripetizioni a garanzia di autenticità dell’ispirazione. Il desiderio – lo scopo dichiarato fin dalle prime righe – è di alleggerirsi dal fardello dell’ossessione per il primo amore, quello dei tempi del liceo, con cui l’autore convive da un discreto gruzzolo di anni. Naturale procedere per affioramento, e ci sta, allora, che la mente risputi più volte lo stesso reperto della memoria. Il tono della narrazione cerca la cifra del colloquiale e su di essa si assesta. Quando si lavora ad un memoir, non c’è niente di peggio della monotonia di un soliloquio ombelicale. Per scansare il fosso bisogna mantenere il brio di certe chiacchierate tra amici, magari un po’ alticci.
Il racconto di Drago non perde mai sincerità ed efficacia. Più che flusso di ricordi, è marea di rimuginii, di picchi emotivi, di nostalgie che sale ad animare le pagine. Ci vuole mestiere per trovare una chiave che tiri dentro il lettore senza annoiarlo. Non basta avere dell’ottimo materiale – gli anni Ottanta, certe citazioni letterarie e musicali, il disadattamento adolescenziale di un “alternativo”, l’atmosfera da “compagno di scuola” di Venditti –. Bisogna saper trasformare questi input narrativi in veri e propri riflessi pavloviani che facciano scattare un’identificazione, un rispecchiamento, per quanto approssimativo o solo abbozzato. Impresa, qui, perfettamente riuscita.
Innamorato è per Marco Drago un non più prorogabile ritorno al passato per lo scioglimento dei nodi. Per noi lettori un tonificante déjà vu.
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