Protagonista di qualche decennio nel mondo dei libri, Gian Arturo Ferrari – numero uno della Mondadori a cavallo dei millenni – in “Storia confidenziale dell’editoria italiana” regala una panoramica precisa e onesta del Novecento e oltre: editori pionieri, autori sedotti, dinastie, duelli, aste vinte e perse, “regole di vita” e ragionamenti sul futuro (ma sempre all’insegna di un mantra: idee, soldi e scoperte). Una storia che inevitabilmente incrocia quella professionale dell’autore, fra tanti successi e poche cicatrici…
Gian Arturo Ferrari è un distinto signore che viaggia verso gli ottant’anni e ha segnato, da manager di rango (e, non ce ne voglia, in alcuni casi da burattinaio, al vertice della casa di Segrate), scrive: «… Con tutti gli altri e soprattutto con le giovani leve faccio invece la parte del cattivo, del Dart Fener. All’esterno lo sono già per definizione, essendo il rappresentante della berlusconiana Mondadori»), qualche decennio della nostra editoria. Sporcandosi le mani, lascia intendere a più riprese, con qualcosa che è più prosaico di quanto possano pensare certe anime belle. Perché l’editoria libraria – «stretta tra il Dio della cultura e il Mammona delle leggi economiche» – è pur sempre un’industria e alcune regole deve seguirle. Da ormai ex dirigente editoriale Ferrari non ha smesso di gravitare in ambito librario, di dispensare consigli, di occupare qualche poltrona onoraria, e ha iniziato a scrivere di proprio pugno volumi gustosissimi, fra i quali il più succulento è l’ultimo, pubblicato dalla casa editrice Marsilio, Storia confidenziale dell’editoria italiana (363 pagine, 19 euro). Non un semplice compendio paludato di ciò che ha vissuto e di chi l’ha preceduto, con protagonisti tutti i giganti del mondo del libro in Italia, ma un racconto gagliardo, panoramico e insieme intimo (senza spaccati pruriginosi, né colpi bassi), in cui naturalmente il punto di vista e il peso dell’autore si fanno sentire, eccome.
Due coppie di gemelli diversi
Nel suo librone – il suo terzo dopo Libro per Bollati Boringhieri e l’autobiografico Ragazzo italiano per Feltrinelli, finalista al premio Strega – che si legge con la voracità con cui da ragazzo lo stesso Ferrari divorava certi libri rossi, evoca una storia che inizia con due coppie di gemelli diversi, Mondadori e Rizzoli da una parte, Sonzogno e Treves dall’altra, ed è una cavalcata magnifica fino ai giorni nostri. Ci sono tante storie, quelle dell’azzardo dell’editoria, e tante vite dalla rapidissima ascesa, in termini di prestigio e denaro, di Arnoldo Mondadori, che culmina nell’acquisizione dell’opera omnia di Gabriele D’Annunzio, all’affermazione intraprendente dello stesso, alle spalle del quale c’era la presenza del ricchissimo e discreto Senatore Bertolotti, che diventerà il proprietario della casa e demiurgo di un’accoppiata al vertice: a Mondadori affiancherà Luigi Rusca, un funzionario “totale”, che permetterà di pubblicare il meglio della letteratura internazionale ed è stato per Ferrari una fonte di ispirazione; i rapporti, soprattutto di contrapposizione, fra i due, Mondadori e Rusca, con la seconda guerra mondiale di mezzo, diventeranno leggendari e romanzeschi. E Rusca, alla fine, lavorerà per Rizzoli, consulente di un successo clamoroso, i volumi della Bur.
Quelle gloriose case…
La rapida rassegna di Gian Arturo Ferrari spiega – indagandone le anime – le origini di case gloriose come Bompiani, Feltrinelli, Longanesi (obiettivo: «rompere la crosta dell’ipocrisia nazionale»), Adelphi («una trappola, una tagliola, se ci si mette un piede dentro non ci si libera più»), Garzanti ed Einaudi, quest’ultima specie nel passaggio da «una specie di Laterza torinese, più di sinistra e naturalmente senza Croce» a quell’anima che in qualche modo arriva ai nostri giorni, con l’imporsi della narrativa dal «sapore diverso»: l’unica casa editrice coerentemente e palesemente antifascista, dichiaratamente editrice di cultura, che non punta prioritariamente al profitto; una storia, quella di Einaudi, che passa dalla parentesi di Electa (gli anni della “pesto connection”) alle braccia di Mondadori, cioè di Silvio Berlusconi («… simpatico mascalzone che è insieme un grande imprenditore»).
Cosa che però viene bellamente sottaciuta dall’intellighenzia, che quando si riferisce a Mondadori usa la locuzione standard «la berlusconiana Mondadori». Mentre per Einaudi sorvola, quasi fosse una paternità o maternità virginale, una sorta di immacolata concezione.
Lettore e professionista fra exploit e insuccessi
Gian Arturo Ferrari si racconta, gradualmente, come lettore e scrive di dinastie e duelli, di anticipi e bestseller, di personaggi mitici (Roberto Cerati, Vittorio Sereni, Mario Spagnol, «un Sandokan dell’editoria», l’eterna amica Renata Colorni, Michele Ranchetti, Erich Linder, Giancarlo Bonacina, Andrew Wylie, Luigi Brioschi), non necessariamente noti al grande pubblico, capitani d’industria e loro eredi raramente all’altezza. Si racconta nei primissimi passi, nel passaggio alla Boringhieri e poi, con un minimo compiacimento (e come sarebbe possibile tenerlo a freno?) nel doppio salto mortale che lo porta ai vertici della Mondadori, numero due negli anni Ottanta, poi alla Rizzoli. Gli autori sedotti, i titoli scoperti (Bella del Signore di Albert Cohen, ad esempio), gli exploit (pubblicare il libro di Giovanni Paolo II, strappare Rushdie alla Garzanti; acquisire Calvino con un investimento oltraggioso, ma recuperato, far vincere lo Strega a Pontiggia, contro Calasso, contro «tutti i benpensanti»), le aste (dove «non c’è un etica, non c’è posto per i moralismi»), anche gli errori (la mancata valorizzazione, alla Rizzoli, di campioni come Barnes, Ishiguro, Coetzee, poi decollati con lo Struzzo, per intuizione e merito della bravissima traduttrice Marisa Caramella; la spesa esorbitante per Giochi sacri di Vikram Chandra, la mancata “conquista” di Crichton).
La squadra dei bestseller
«Il disturbo conclamato di identità multipla» della casa editrice Mondadori, le sue dimensioni e la sua pluralità impongono che una squadra, una «banda», faccia il lavoro che prima poteva fare anche un uomo solo al comando. Gian Arturo Ferrari fissa criteri spettacolari.
La passione, meglio se cieca, è il primo e imprescindibile requisito. Opportuno poi che posseggano una solida formazione culturale, che abbiano alle spalle studi severi. Per dimenticarli. Non perché debbano riporre nell’editoria aspirazioni culturali, al contrario perché avendo toccato con mano la cultura, quella vera, si sentano ora liberi di cimentarsi nell’editoria, che è tutt’altra cosa. […] Meglio se si guadagnano da vivere con il loro lavoro, meglio salariati che rentier, apprezzeranno di più l’editoria perché non offre certo la ricchezza, ma li sottrae alle aule delle scuole medie cui erano per nascita destinati. Meglio se non vengono dall’alta borghesia, se non hanno snobismi e sensi di superiorità. […] Da ultimo, veramente da ultimo, non dovrebbe mancare un tocco di ribalderia, fatto per metà di capacità da imbonitore e per l’altra metà di fiuto per gli affari. L’editoria ha un suo vasto e tenebroso retrobottega in cui spesso si decidono le sorti economiche dell’impresa. E l’editoria medesima non è un educandato per signorine di buona famiglia.
E, dunque, si circonda di professionisti che fanno la differenza: Vigevani, Cane, Parazzoli e il suo «apprendista», nientemeno che Antonio Franchini (Marsilio pubblica la maggior parte dei suoi libri, come il recente Leggere possedere vendere bruciare), che appena insediatosi festeggia lo Strega di Vincenzo Consolo (Nottetempo, casa per casa), qualche anno dopo quello di Alessandro Barbero (Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo), e poi inanellerà i successi di Paolo Giordano, Alessandro Piperno, Niccolò Ammaniti e Alessandro D’Avenia (qui una sua videointervista nel nostro canale YouTube), i primi tre futuri Strega. È la squadra a ottenere i maggiori successi, si pensi a Gomorra di Roberto Saviano. Con un linguaggio semplice e allo stesso tempo ricercato, Gian Arturo Ferrari attira a sé il lettore e gli regala una panoramica di raro nitore, di grande onestà intellettuale («Le cose scritte in questo libro sono quasi tutte vere. Me compreso»). Un’eredità di qualità e di peso, senza rimirare troppo il passato e provando a spiegare in che direzione sta andando l’editoria. Anche se i pilastri gli sembrano sempre gli stessi tre: idee, soldi e scoperte…
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