Una lettura irrinunciabile, “La settimana santa” di Louis Aragon, romanzo di svolta per lo scrittore francese dopo ideologici romanzi all’insegna del realismo. L’avvio dei cento giorni di Napoleone, in fuga dall’Isola d’Elba e deciso a riconquistare il potere, vista con gli occhi del pittore (e sottotenente dell’esercito regio) Théodore Géricault. Vera protagonista la Francia sull’orlo della guerra civile, che spera e si dispera, divisa, stanca di guerre, ma forse ancora sedotta da Bonaparte. Non un semplice romanzo storico…
Basterebbero il nome dell’autore, il francese Louis Aragon, surrealista e comunista, e del traduttore, il grande Ettore Capriolo, per far tremare i polsi o, anche solo, per fare drizzare le antenne a lettori magari anche giovani, ma certamente avvertiti. E, invece, non si parla e non si scrive abbastanza del ritorno in libreria di un poderoso romanzo, La settimana santa (744 pagine, 32 euro), rilanciato dalla casa editrice Settecolori, con postfazione di Franco Cardini. La Settecolori non ha esitato a rispolverare tanti autori di estrema destra e stavolta, invece, punta forte su un vecchio incallito stalinista (pianse alla morte di Stalin, nel 1953, scomparsa che non esitò a paragonare a quella della madre), scomparso da oltre quarant’anni, le cui opere complete sono edite da Gallimard nella Pléiade.
Surrealista, comunista, poeta abbagliante
Poeta abbagliante, esuberante e geniale (la sua musa fu la moglie Elsa Triolet, scrittrice di origine russa, anche se dopo la morte di lei ufficializzò le sue preferenze omosessuali), che diede alla lingua francese un ritmo speciale, Louis Aragon fu prosatore di grande versatilità, inizialmente troppo ligio ai diktat sovietici in termini di realismo, dal cui modello però La settimana santa si discosta, rappresentando un punto di svolta nella sua produzione. Fra i molti a rifiutare la Legion d’honneur, fondatore del movimento surrealista insieme a Philippe Soupault e soprattutto all’amico André Breton – leggendario il loro sodalizio, iniziato da studenti di medicina e conclusosi irrimediabilmente all’inizio degli anni Trenta, perché Breton considerò l’amico un apostata del surrealismo, troppo dedito alla fede comunista e ai romanzi, genere che Breton deprecava. Aragon era stato infermiere volontario nelle trincee della prima guerra mondiale e, nel corso della seconda, avrebbe preso parte alla Resistenza, in questo diametralmente distante da un altro vecchio amico, Pierre Drieu La Rochelle, collaborazionista. In Italia Louis Aragon è anche ricordato per due articoli di lode a Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, che considerava un capolavoro, «una critica di sinistra» all’ aristocrazia. Concetti su cui si finirono per allinearsi Togliatti e gli intellettuali organici al Pci, che avevano precedentemente fatto a pezzi l’opera postuma del principe palermitano.
Un vortice
La settimana santa, imponente romanzo pubblicato in patria nel 1958 – con successo di pubblico e di critica, specialmente quella di stampo conservatore, quando non reazionario – è una gran bella riscoperta, non è superfluo utilizzare l’aggettivo caleidoscopico, un fiume di storie e di personaggi, inventati ma anche veri, inondano i lettori, che gireranno l’ultima pagina sazi e felici, risucchiati dal vortice e dall’intensità di queste pagine. Louis Aragon, fra monologo interiore e discorso indiretto libero, racconta un viaggio, un sogno, colmo di avvenimenti concitati, i primi sette dei cento giorni dell’epopea napoleonica ripartita dopo la fuga dall’Isola d’Elba e lo sbarco sulle coste francesi ad Antibes: la settimana che culmina nel 26 marzo 1815, dalla domenica delle Palme a quella di Pasqua.
Tra fedeltà e tradimento
Come la scia di un corpo celeste Napoleone e i suoi fedelissimi risalgono la Francia. Da una parte re Luigi XVIII in fuga, dall’altro il suo esercito, che era tornato a giurargli fedeltà, riconquistato dal nuovo avvento di Bonaparte, che lungo la strada raccoglie osanna, lancia sfide, divide le fazioni. Soldati e ufficiali sono disorientati, in bilico fra fedeltà e tradimento – concetti chiave che tornano più volte nel romanzo – e incarnati in particolare dal punto di vista che decide di assumere Louis Aragon, ovvero quello di Théodore Géricault, sottotenente e già giovane pittore di valore, che avrebbe lasciato segnali eterni della propria arte. Romantico, disincantato e disorientato. Deluso, sconfortato e ingannato. Géricault è l’occhio con cui Aragon guarda quel pezzo di mondo e quel tempo, ma non solo. Ammira Napoleone soprattutto per aver rimpinguato il Louvre di opere d’arte (tante quelle trafugate in Italia), ma vive, vulnerabile e sensibile, notti piene di dilemmi pensando al destino del re…
La Storia dal basso, la Francia divisa
La Storia è vissuta e incarnata dal basso, più che sugli alti papaveri, politici e rappresentanti delle istituzioni – lo stesso Napoleone incombe ma mai davvero in primo piano – lo sguardo è puntato su una febbrile, paranoica e caotica girandola di militari, popolani, avventurieri alle prese col bivio di abbracciare il vecchio che avanza, l’imperatore deposto, o il nuovo, si fa per dire, il monarca borbonico, con signorotti e dignitari al seguito, diretto verso le Fiandre. Aragon dimostra d’essere un virtuoso delle descrizioni (paesaggi, ma anche vestiti, stati d’animo, vita militare…). La Francia, in attesa, è ritratta sull’orlo della guerra civile, spera e si dispera, è allo sbando, divisa, come era stata in passato, come lo sarà nel futuro (inevitabile il parallelismo con l’occupazione tedesca e il regime di Vichy): dall’anima contraddittoria, stanca di guerre, ma forse ancora attirata dal furore napoleonico. Ma davvero è difficile definire La settimana santa come un romanzo storico tout court: sa essere di volta in volta epico, romantico, onirico, mitico, sfrenatamente pieno di poesia e fantasia. Una lettura irrinunciabile.
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