Una malattia incurabile e la brevissima vita di un bimbo. Trasfigurando una vicenda reale in “Per tutti i giorni della tua vita”, Elena Premoli affronta il tema dell’eutanasia pediatrica e riesce ad essere equilibrata e delicata senza semplificare mai. Uno tsunami di dolore raccontato con gli occhi della madre e della dottoressa che si occupa del caso
Elena Premoli, autrice del romanzo Per tutti i giorni della tua vita (304 pagine, 17 euro), Piemme edizioni, racconta che, quando divenne mamma per la prima volta, non aveva ancora coronato il sogno di “essere stata pubblicata”. Spesso, durante il primo mese di maternità, mentre era impegnata a sperimentarsi nella veste di genitrice, lasciava il telegiornale in sottofondo a tenerle compagnia. Tra i tanti episodi di cronaca orecchiati, uno in particolare le si sedimentò nella testa: quello di Alfie Evans, il neonato di Liverpool affetto da una incurabile malattia neurodegenerativa, al quale, al termine di una lunga battaglia legale tra i genitori e i vertici dell’ospedale presso cui era ricoverato, venne staccato il supporto di ventilazione. Le notizie relative al caso si sovrapposero ad un pensiero sul quale rimuginava da un po’ per via dell’imbeccata datale da un editor: individuare un evento reale su cui focalizzarsi, per correggere la tendenza ad ingarbugliare le trame che pare penalizzasse le sue narrazioni. È proprio dal convergere di queste due sollecitazioni che è nato il suo romanzo.
Una vicenda breve e straziante
Come quella di Alfie Evans, anche la brevissima e straziante vicenda di Matt, il doppelgänger letterario creato dall’autrice, se ci si attiene alla mera cronaca dei fatti, è una Via Crucis di una manciata di stazioni. Matt nasce a Liverpool nel 2016, da una coppia -entrambi sono poco oltre i vent’anni, appartenenti alla working class – formatasi grazie ad un incontro casuale in un pub appena poco prima della accidentale gravidanza e stabilizzatasi, conformemente ai più consolidati clichè, proprio a causa del lieto evento. Nel dicembre del 2017, incapace di respirare autonomamente, viene attaccato ad una macchina. Muore nell’aprile del 2018, pochi giorni dopo la sospensione della ventilazione artificiale.
Una encomiabile lucidità
La scrivo senza girarci attorno, grezza, così come l’ho pensata una volta arrivata alla fine del libro. Date le premesse, mi aspettavo un volo irregolare, costellato di turbolenze. Immaginavo di dover schivare pregiudizi e giudizi morali, opinioni personali e prese di posizione forti sul tema dell’eutanasia pediatrica. Mi ero predisposta, soprattutto, ad un viaggio convulso, disperato, strappalacrime, consumato tra fazzoletti e singhiozzi. A percorso concluso, sono qui, ora, a fare ammenda dei miei preconcetti e a manifestare apprezzamento per la delicatezza con cui l’autrice ha attraversato lo spesso e vischioso spettro di dolore davanti al quale ha scelto di porsi. La circostanza che la sua bambina fosse nata da poco quando ha abbracciato il progetto mi faceva supporre una particolare vulnerabilità emotiva e una predisposizione maggiore a compenetrarsi con la madre di Matt. Ho anche immaginato che fosse abbastanza frastornata dal chiacchiericcio dei tanti programmi televisivi di “accanimento” più che di approfondimento giornalistico, alla quale era stata esposta.
Tre obiettivi
Nonostante tali probabili vulnerabilità, Elena Premoli ha conservato una encomiabile lucidità. Il risultato del suo impegno è, infatti, un romanzo in cui l’equilibrio, che contrassegna trama, struttura e ritmo, non si traduce mai in semplificazione. Un romanzo in cui l’autocontrollo, che tiene a freno i picchi di emotività viscerale pronti a irrompere nei momenti topici, non degenera in freddezza o distacco. Un romanzo che, nonostante la tragicità della vicenda raccontata, consegue almeno tre obiettivi, importanti e per nulla scontati: non essere pesante – anzi, al contrario, è molto piacevole – essere appassionante e, infine, lasciare il lettore nella più totale libertà di pensiero rispetto al tema del fine vita nell’infanzia.
Elena Premoli guadagna la meta, aggiudicandosi la difficile partita, innanzitutto perché non investe Matt del ruolo di protagonista. Infatti, punta i riflettori sulla creaturina davvero raramente e solo in caso di necessità. Sebbene se ne percepisca costantemente la presenza sulla scena, affinché il lettore non indugi voyeuristicamente sul suo corpicino, premurosamente mette a farli da schermo gli adulti – i genitori e i medici -, che sono i veri attori per cui ha allestito il palcoscenico. Altrettanto felice la soluzione di affidare il racconto unicamente a due voci, quelle contrapposte e dissonanti di Emily, la giovanissima madre del bambino e quella di Nadia, la dottoressa che lo cura.
Due lenti diverse
È attraverso i loro occhi, i loro sentimenti, le loro congetture e le loro argomentazioni che ricostruiamo i fatti e scopriamo gli altri personaggi coinvolti, primo tra tutti, naturalmente, il padre di Matt. Emily e Nadia sono due lenti dal colore e dalle diottrie diverse. La prima, Emily, fa in modo che il lettore metta a fuoco la dinamica di coppia, entri nella dimensione duale in cui marito e moglie sono costretti a comprimersi, nel momento in cui il destino segnato del figlio fa saltare il loro archetipo/sogno di famiglia. La seconda, Nadia, che si trincera dietro la maschera di volitiva donna in carriera, esibendo mancanza di empatia e rigidità, ci riporta, invece, sul piano della realtà, nella prospettiva scientifica. Entrambi sono portatrici di identici interessi: garantire la dignitosa esistenza del piccolo e sopravvivere loro stesse allo tsunami di dolore. Differiscono solo le ipotesi attraverso cui immaginano possano essere conseguite tali priorità.
L’arco temporale tra il ricovero ospedaliero e la morte di Matt è idealmente il campo di battaglia in cui le due si confrontano attraverso il racconto che fanno di sé. Sono questi loro round ad aver trasformato la vicenda del piccolo nella intensa esperienza di lettura che vi invito a sperimentare. Brava Elena Premoli per aver saputo saturare i vuoti esistenziali di coloro che restano sospesi al capezzale di Matt non solo di belle parole, ma anche di riflessioni e sentimenti tutti assolutamente plausibili.
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