La tentazione di correggere la storia e l’indagine attorno alla condizione umana, ma anche il rapporto tra realtà e finzione. Sono alcune delle coordinate dell’opera saramaghiana, di cui il volume “Lezioni italiane” rappresenta probabilmente la più valida introduzione o il migliore approfondimento. Dieci preziosi momenti di riflessioni (anche sul futuro della letteratura), interventi pubblici di José Saramago felicemente trascritti e raccolti…
Complimenti e ringraziamenti a La Nuova Frontiera e al curatore Giorgio De Marchis, docente di lingua e letteratura portoghese presso l’Università di Roma Tre, nonché coordinatore della cattedra José Saramago, per la pubblicazione di Lezioni italiane (156 pagine, 16,90 euro), di Josè Saramago, il volume uscito lo scorso novembre in concomitanza del centenario della nascita del Premio Nobel portoghese che raccoglie suoi testi, perlopiù inediti, di conferenze e interventi di vario genere tenuti nel nostro paese. Forse questo è un modo banale o non troppo ortodosso per iniziare un commento a un libro, due opposti (banalità e non ortodossia) che magari possono essere considerate due facce della stessa medaglia, dipende da cosa si decida di “vedere”, questo del vedere uno dei concetti chiave al quale si ispira tutta la letteratura e tutte le riflessioni su di essa di Saramago.
Quel legame con l’Italia
Il volume, che non ha a dispetto del titolo alcun legame strutturale e contenutistico con le celebri “Norton Lectures” di Italo Calvino, poi confluite nel volume Lezioni americane dell’autore di Palomar, raccoglie dieci interventi tenuti nel nostro paese dallo scrittore portoghese in occasione di vari eventi: introduzioni o conclusioni a convegni internazionali, lectio magistralis, prolusioni in occasione del conferimento di lauree ad honorem (Saramago ne può vantare tre presso i nostri atenei). Essi coprono gli anni dal 1989 al 2003. Un legame e una frequentazione del nostro paese quello da parte dell’autore di Cecità costante nel corso degli anni, fatto di visite ripetute e dagli assidui contatti con istituzioni e personalità e del nostro panorama culturale come frequentemente citate nei Quaderni di Lanzarote, la sorta di diario scritto da Saramago dall’esilio autoimpostosi nell’isola delle Canarie a seguito delle furibonde polemiche successive al suo Il Vangelo secondo Gesù Cristo. Un amore per il Bel Paese che lo porta ad affermare: “L’Italia dovrebbe essere il premio per essere venuti al mondo”.
Come un’introduzione
I dieci testi proposti costituiscono un materiale di inestimabile valore letterario e umano che diventa uno strumento indispensabile per conoscere le coordinate letterarie e ideologiche di uno dei più grandi scrittori del Novecento, un modo per entrare nella sua officina, nella sua “visione” narrativa e nella sua idea di letteratura. Un materiale fatalmente parziale, molte delle sue conferenze tenute in giro per il mondo sono rimaste senza trascrizione o di difficile reperibilità, per cui all’editore e al suo curatore va riconosciuto il grande merito di aver “salvato” e riportato alla luce un corpus letterario e un discorso sulla letteratura che può diventare allo stesso tempo la più valida introduzione o il migliore approfondimento all’opera saramaghiana.
Uomo tra gli uomini
Le Lezioni italiane oltre a costituire forse la più valida guida ermeneutica all’opera dello scrittore portoghese lasciano trasparire anche la voce dell’uomo (come del resto si evince anche da tutte le sue opere narrative), uno scrittore, un intellettuale, un artista della parola che non si chiude nella sua torre d’avorio ma che è anche un cittadino e una persona che si interroga sul proprio tempo e su questioni politiche e sociali, mettendo al centro della sua opera l’essere umano, non scadendo nell’autobiografismo a sé stante e nel confessionalismo letterario, facendovi ricorso in quanto uomo (prima che scrittore) tra gli uomini:
Per me è molto importante che il lettore possa dire: “Questo libro ha dentro una persona e quella persona è l’autore di tutto quell’insieme di cose con cui si fa un romanzo”.
Uno spartiacque
È in Dalla Statua alla pietra, una conferenza tenuta nel 1997 presso l’Università di Torino, forse il testo qui contenuto più corposo e significativo, che Saramago mette più a nudo sé stesso e la sua opera, perché nonostante la potenza affabulatoria e visionarietà di tutta la sua produzione letteraria, la generosità deve essere riconosciuta come uno dei tratti più marcati della sua esperienza artistica e queste stesse conferenze, il parlare spesso a braccio, di sé, della sua opera e di tematiche non solo letterarie ne sono la testimonianza, un’apertura e un donarsi alle persone prima che alla materia letteraria stessa. La conclusione dell’intervento sopracitato lo conferma, quando parlando dei suoi vissuti familiari come fa con i ricordi dei nonni ove in conclusione parla di sé stesso in terza persona dicendo:
Questo nipote quando scrive dei suoi nonni sta impedendo che muoiano definitivamente. Credo che comprendere questo significa avanzare nel cammino che porta all’interno della pietra, dove mio nonno è sempre stato, senza che io lo sapessi. E credo sia per questo che scrivo.
La condizione umana
È a partire da questo assunto e dal periodo successivo a Il Vangelo secondo Gesù Cristo e alla distopia di Cecità, che Saramago come da sua stessa ammissione inizierà una nuova fase letteraria; Dalla Statua alla pietra nel quale è contenuta una bellissima metafora sulla storia e l’essere umano e dove compie “generosamente” un’ampia carrellata sulle sue opere fino al 1997 può essere considerato idealmente lo spartiacque. Se nella prima fase, che ci ha lasciato capolavori quali i romanzi “storici” Memoriale del Convento e Storia dell’assedio di Lisbona (solo per citarne due), il cambio di prospettiva lo dirige dalla plasticità della statua e dalla sua muta contemplazione, per esteso la storia pur rivisitata con gli strumenti nell’ucronia come in Storia dell’assedio di Lisbona e servendosi di quei “piccoli candelotti che facciano esplodere ciò che fino ad allora pareva indiscutibile” all’essenza della pietra, è da lì in poi che l’analisi si sposta sulla condizione umana che diventa la priorità assoluta. Sfruttando la popolarità del Nobel si interrogherà su questioni sociali e collettive sviluppando un pensiero critico sulla società e sulla politica, facendosi voce degli emarginati e in difesa dei diritti umani; uno degli interventi qui contenuti è proprio una critica alla mancata realizzazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, una stessa critica già espressa all’interno del discorso pronunciato in occasione dell’assegnazione del Nobel a Stoccolma nel quale chioserà:
Di questi tempi è più facile arrivare su Marte che al nostro simile.
La storia degli umili
Il romanzo diviene per Saramago uno strumento per indagare tematiche filosofiche quali la crisi della ragione (Cecità), l’alterità (Tutti i nomi), le illusioni del neoliberismo (La caverna), l’identità (L’uomo duplicato), la crisi della democrazia (Saggio sulla lucidità), la morte (Intermittenze della morte). Al di là della vera o presunta cesura tra le due fasi letterarie rimane l’attenzione di Saramago alla storia con la s minuscola, non quella narrata dai grandi o dai vincitori, che è da sempre quella del potere di chi si arroga il diritto di parola ma quella dalla parte dei più piccoli, della gente comune ai quali solo i grandi scrittori nella mimesi letteraria sono riusciti a dar voce, con tutti gli strumenti retorici che nel caso di Saramago, uomo e scrittore dichiaratamente ateo che si è interrogato con il fervore del credente sull’essenza del divino e sul senso del religioso, sono quel suo modo di scrivere articolato, corposo, ricco di subordinate, incisi, riflessioni, lunghe digressioni, fluviali monologhi interiori, l’uso non tradizionale e straniante della punteggiatura, tutti i marchi di fabbrica del Premio Nobel, una voce che come quella di tutti i grandi scrittori risulta inconfondibile anche solo leggendo poche righe di una sua opera, una scrittura cerimoniale e fantastica allo stesso tempo, nella quale la verità è partecipe dell’errore, contraddistinta da alcuni tratti che spiccano su tutti gli altri: la sontuosa eleganza e l’apertura al mondo. La storia (la statua) serve a Saramago per arrivare all’essere umano. Il confronto con la storia è nel volume qui pubblicato ben delineato in Storia e narrazione, la trascrizione della sua lezione dottorale tenuta presso l’Università di Torino nel 1990 in occasione del conferimento della laurea honoris causa, la storia che conterrà sempre, ci dice Saramago, una grande zona d’ombra dove interverrà appunto il romanziere, un vasto mondo di difficile ricostruzione per lo storico di professione e che non potendo essere ricostituito “siamo tentati – io almeno lo sono di correggerlo”. In questo modo si spiegano i suoi romanzi “storici”, con tutto il virgolettato del caso per opere quali Memoriale del Convento o Storia dell’assedio di Lisbona, una storia fatta di omissioni e alterazioni che a loro volta vanno a colmare alcuni dei vuoti e dei silenzi dello storico su eventi e personaggi minori. Così si spiega la dettagliata enumerazione degli operai che con le loro mani hanno costruito il Palazzo Reale di Mafra in Memoriale del convento, o la sfilata delle confraternite, un’attenzione al dettaglio che dirà Saramago serve a riscattare dall’oblio
Gente che popola il passato, che non ha lasciato né romanzi, né Cappelle Sistine e di cui non si parla.
Le donne, un sole
Durante tutta la sua parabola letteraria Saramago ha parlato (anche) di sé per arrivare a parlare del mondo che ci circonda, con la visionarietà della sua penna, interrogandosi sul significato della trascendenza, sulla dicotomia ragione-sentimento, sul senso del vedere, dell’incontro con l’altro, la preponderanza nei suoi romanzi delle figure femminili, dalla Maria Sara di Storia dell’Assedio di Lisbona alla Blimunda di Memoriale del Convento, “un sole intorno al quale tutto ruota”, sono la testimonianza della scoperta di sé che arriva tramite la conoscenza dell’altro, ponendosi in ascolto e a disposizione dell’altro, come i testi contenuti in Lezioni italiane mostrano in modo cristallino, dieci preziosi momenti di riflessione sulla letteratura e sulla realtà nei quali il grande scrittore si avventura anche nei fantastici territori borgesiani della metaletteratura, occupandosi del rapporto tra realtà e finzione come nel caso della prolusione tenuta a Bergamo in occasione del centenario della nascita dello scrittore argentino, interrogandosi e interrogandoci sul ruolo della letteratura e del romanzo che se può continuare ad esistere secondo Saramago lo potrà fare solo in una forma ibrida e in ogni caso tale da assorbire
come un grande, convulso e sonoro mare, gli affluenti torrenziali della poesia, del dramma, del saggio e anche della scienza e della filosofia, divenendo così espressione di una conoscenza, di un sapere, di una visione cosmica, come lo sono stati, per il loro tempo, i poemi antichi.
Una mondo condensato
Letteratura, umanità, memoria, apertura verso i nostri simili. In questo piccolo volume per il quale non smetteremo di ringraziare editore e curatore è condensato il mondo di José Saramago, il quale nella sua prolusione al Nobel, parlando dei nonni analfabeti esordirà in questo modo:
L’uomo più saggio che ho conosciuto non sapeva né leggere né scrivere. Alle quattro della mattina, quando la promessa di un nuovo giorno ancora indugiava sulla terra di Francia, egli si alzava dal suo giaciglio e andava nel campo, per dare da mangiare alla mezza dozzina di maiali la cui fertilità nutriva lui e sua moglie.
e ancora:
Credo che senza di loro non sarei la persona che sono oggi; senza di essi forse la mia vita non sarebbe riuscita a diventare più di un inesatto abbozzo, una promessa come tante altre che sono rimaste solo promesse, l’esistenza di un uomo che forse potrebbe essere stato ma che alla fine non fosse riuscito ad essere.
Tutto il resto di quello che José Saramago è stato si trova nello splendore delle opere che lo scrittore portoghese ci ha lasciato.
È possibile ordinare questo e altri libri presso Dadabio, qui i contatti