Leonardo Colombati, uno dei migliori interpreti contemporanei del romanzo, torna in libreria con “Sinceramente non tuo”, con la prosa briosa, tesa ed energica di sempre, con la capacità di osservare e restituire il mondo con grande onestà, con vicende anche personali, sebbene trasfigurate. Protagonista l’amicizia complessa e controversa fra un romanziere e un fotografo, scomparso da quattro mesi…
Nel 2005 Leonardo Colombati era l’outsider di successo della stagione, l’autore del romanzo di cui tutti parlavano. Un po’ come sta succedendo negli ultimi tempi con Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi, edito da Laurana. Colombati si era presentato addirittura da esordiente con Perceber, pubblicato da Sironi, romanzo postmodernissimo, scandito sui luoghi di Roma. Entrambi sono stati lanciati da un talent-scout di successo, Giulio Mozzi. Più di vent’anni dopo Colombati – all’epoca esaltato da taluni e sbertucciato da talaltri – non è più un outsider alla periferia dell’impero, ma un grande scrittore, anche se ancora relativamente in pochi lo sanno. Ha inanellato romanzi, saggi, diventando stabilmente un autore del colosso di Segrate, ha fondato, con Emanuele Trevi, l’accademia di scuola creativa Molly Bloom, è nella direzione della storica (e ancora bellissima) rivista Nuovi Argomenti. Non ce ne voglia, è a tutto tondo nell’establishment. Ma non ha smarrito la vena felice degli esordi, la prosa briosa, tesa ed energica, la capacità di osservare e restituire il mondo con grande onestà, con personaggi che, da sempre, oscillano tra l’eroismo e la cialtroneria, regalando di volta in volta libri di allegria e malinconia, di grande sostanza e ottima fattura. Non si smentisce nemmeno con l’ultimo, Sinceramente non tuo (322 pagine, 19,50 euro), pubblicato ancora da Mondadori, a quattro anni dal precedente, Estate.
La fuga e il memoriale
Sinceramente non tuo di Leonardo Colombati è un romanzo-romanzo, nel senso più nobile e moderno del termine. Incarna l’amicizia con i suoi tanti volti? Senza dubbio. È una storia on the road? Anche, tra Roma, Parigi, Londra e Ostenda. Ci costringe a fare i conti con noi stessi, a mettere a punto i primi bilanci esistenziali? Certamente, specie se si è più o meno vicino al mezzo secolo di vita. È il libro di un autore ormai navigato, coltissimo, con pagine piene di dettagli, colme di riferimenti letterari, cinematografici e musicali, e che per la prima volta accolgono vicende personali, seppur trasfigurate. Ci catapulta nell’esistenza del misterioso Antonello Durante, fotografo già di una certa fama, scomparso da quattro mesi, che aveva superato la dipendenza da alcol e antidepressivi, ma era inseguito dai creditori e dagli usurai, abbandonato dalla moglie Diana. Contatterà l’amico di sempre, il romanziere Luca Vinciguerra («il Grande Scrittore Cinico» si definisce a un certo punto, vincitore del Campiello con il romanzo La luna; «Tutti mi adulavano in pubblico; qualcuno cominciò a odiarmi in privato»), lasciandogli un memoriale che gli spiegherà come sono davvero andate le cose, come si è messo in viaggio con Tom Barman, musicista di un gruppo rock belga, conosciuto negli anni Novanta, quando era un fotoreporter di grido…
Il senso di una fine (e di un’amicizia)
Ci sono tante bellissime citazioni di grandi scrittori, tante riflessioni esistenziali che si intrecciano alla storia, bilanci sul matrimonio, sulla paternità, sulle illusioni dilaniate dalla vita, sulle promesse non mantenute, sui sogni sfuggiti di mano. E c’è, a circa due terzi del romanzo, una frase che i romanzieri dovrebbero tenere a mente.
È stupido credere che siccome scrivi narrativa tu abbia necessariamente un’idea sul riscaldamento globale, la felicità, i flussi migratori e il campionato di calcio.
Colombati dimostra una disinvoltura stilistica e una versatilità che ne fanno uno dei migliori interpreti contemporanei del romanzo. Lo fa concludere, amaramente, alla vigilia del lockdown. Sul finale ci sono un uomo e una donna, giudizi sprezzanti e laconiche conclusioni. Poco prima però c’è l’ultima fiammata, il senso di una fine, e di un’amicizia come minimo complessa, a tratti controversa. Parole di Luca:
Ecco: se esistesse per sostituire Antonello, quella parola adesso me la tatuerei sul polso, così, controllando l’orologio, ogni volta farei un altro passo nel tempo insieme a lui. Forse dovrei tatuarmi ROCK AND ROLL. Un genere rozzo e sublime, che parla di amore e morte, e che è passato di moda. Adeguato, no?
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