“La solita zuppa” di Luciano Bianciardi è un racconto invettiva in cui, usando la metafora del cibo, al centro della scena ci sono sesso ed educazione sessuale. Niente male nell’Italia del boom economico e della morale cattolica dominante. Pagine ironiche, e anche esilaranti, che fanno riflettere…
Siamo sicuri di non essere circondati,
noi che guardiamo a Bianciardi
come a uno spirito libero del passato
e pensiamo di essere, oggi, più liberi
grazie anche a quelli come lui,
siamo sicuri che questa de “La solita zuppa”
sia una vicenda del passato?
Siamo sicuri che in mezzo a noi
non si aggirino altri spiriti,
il cui obbiettivo è di imporci
‘questa parola sì, questa parola no’?”
Prefazione di Giancarlo De Cataldo all’edizione EXcogita
C’era una volta Luciano Bianciardi e c’erano una volta I Bianciardini una piccola, ma tanto coraggiosa iniziativa di Ettore, figlio del grande scrittore e intellettuale che diffondevano, e diffondono, voci altrimenti rimaste inascoltate, grazie alla culla di Stampa Alternativa progetto altrettanto coraggioso nato tra il 1970 e il 1977 a opera di Marcello Baraghini per diffondere una controcultura e una stampa che fosse, come avverte il nome, alternativa.
Si ricorda, di Stampa Alternativa, la celeberrima collana Millelire, nella quale hanno trovato accoglienza e notorietà opere di autori che il circuito della grande distribuzione aveva fino ad allora trascurato. Millelire di Stampa Alternativa seguiva la scia di quello che fu l’Alternative Press per la musica angloamericana, ed ha finito per rappresentare un canale preferenziale proprio per il racconto breve.
Come dimenticare che si deve a Stampa Alternativa la prima pubblicazione de L’arte della gioia, di Goliarda Sapienza, nel 1994. 30 anni fa (il prossimo anno), la casa editrice pubblicò la prima parte dell’opera che era stata, più volte, rifiutata da altri editori perché ritenuta immorale. Due anni dopo, quindi postuma, Stampa Alternativa pubblicò tutta l’opera e poi cedette i diritti a Einaudi che oggi li detiene, facendo di Goliarda Sapienza, e di quello stesso testo uno tra i libri più celebrati del momento.
Sotto processo
Si parla quindi di un vero patrimonio editoriale nel quale Luciano Bianciardi ha lasciato il segno indelebile della sua scrittura e della sua lungimiranza editoriale, nonché della lotta all’omologazione del pensiero intellettuale e culturale.
In questa realtà, oltre alla collana che porta il suo nome, Bianciardi ha siglato il celeberrimo racconto La solita zuppa.
Inserito nella più ampia raccolta La solita zuppa e altre storie, ripubblicato lo scorso anno in occasione della ricorrenza del centenario dalla nascita dalla figlia Luciana, oggi a capo della Casa Editrice EXcogita, fu scritto nel 1965 e causò a Bianciardi un processo penale che lo vide imputato per oltraggio al pudore e vilipendio della religione di Stato. Accuse paradossali da cui fu ovviamente assolto, assieme all’editore di allora Massimo Pini (SugarCo), per aver affermato, a conclusione del racconto, che l’ultima cena fu in realtà un “convegno omofobo”, che nascondeva un’ “orgia alimentare”.
Un racconto invettiva, come si intuisce, nel quale, usando la metafora del cibo per tutta la narrazione, Bianciardi, negli anni Sessanta, osa parlare di sesso e di educazione sessuale in un Italia (o Italietta) alle prese con il boom economico e con la morale cattolica dominante.
Contro i tabù di un’Italietta
Un’idea geniale, tramite la quale, con coerenza magistrale, mette in luce le carenze e i disguidi causati nei giovani da questa dis-educazione sia nella percezione del proprio corpo, sia nelle ricadute che tutto questo genera nei comportamenti con l’altro sesso.
Un Bianciardi piacevolissimo contro la sessuofobia tutta italica e piccolo borghese che trasforma il tabù del sesso nel tabù dell’alimentazione, ricco di fine ironia e spunti di riflessione il racconto raggiunge alcune punte dai toni esilaranti.
Meno esilarante è constatare, confrontando il racconto con il presente, il persistente grado di arretratezza culturale sulle tematiche che continua ad affliggere il nostro Paese e l’educazione in generale, colpendo le fasce più giovani. Disse Umberto Eco (nel 1966!!), a questo proposito: “Ecco perché è utile rileggere quel racconto e lo scandalo che suscitò. Perché una vicenda che sembra lontana è invece vicinissima: ci permette di riflettere sul fantasma della censura, dal quale non ci siamo affatto liberati.
La solita zuppa parla del censurabile è un “disguido” letterario con conseguenze gravi; parla, esplicitamente, di masturbazione, descrive un impiegato che, durante l’ora di pranzo, va a prostitute per abitudine, quella stessa abitudine di cercare e alimentare un sesso sbagliato che nasce proprio dalla mancanza, o sbagliata, gestione dell’educazione sessuale (non) impartita fin da bambini. Si parla addirittura di divorzio!
Elegante ma diretto
Bianciardi non calca la mano e non sfiora neppure la volgarità, da gran maestro della narrativa quale è stato, lascia passare la sua denuncia in modo diretto, ma sempre elegantissimo.
Si tratta di un racconto pregevole che testimonia il grande impegno sociale che ha caratterizzato tutta la sua attività e per la quale gli siamo debitori non solo dal punto di vista letterario, ma anche socio-culturale. Una critica del costume, al consumismo e al capitalismo che stava per irrompere in Italia insieme alla rivoluzione dei costumi sessuali, ormai prossimi a modificare le abitudini del Paese, non più solo ipocritamente sottobanco.
Il Bianciardi de La solita zuppa è il medesimo di sempre: sarcastico, irriverente, diretto, maestro di parola tagliente come ascia; per dirla ancora con Eco, che scrisse sempre a questo proposito in sua difesa: “uno scrittore può e deve toccare l’intoccabile”, ne La solita zuppa, Bianciardi lo fa in modo altissimo in una manciata di pagine da gustare come un piatto piccante!
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