“Matteo va alla guerra” di Giacomo Di Girolamo, ovvero le origini dell’ascesa del boss arrestato oggi e sconfitto sempre, Matteo Messina Denaro. Alfiere di una mafia capace «di dosare il cemento e le pallottole, i segnali e soprattutto le parole»
Sono numerosi i libri che trattano di Matteo Messina Denaro, il latitante arrestato questa mattina dal Ros dei Carabinieri a Palermo. Uno degli ultimi che sono stati pubblicati è Matteo va alla guerra, edito da Zolfo e scritto da Giacomo Di Girolamo, giornalista di Marsala direttore del portale Tp24.it e della Radio Rmc 101 dove ha condotto per anni una rubrica quotidiana dal titolo “Matteo, dove sei”.
Un cono d’ombra
Il libro spiega Di Girolamo “non è la biografia di Riina o di Messina Denaro” ma “individua un preciso luogo, la Sicilia occidentale, e li scava in profondità per raccontare il punto cieco in cui nasce una delle pagine più nere di un passato sempre presente”. E si parte proprio dalla mafia trapanese che ha portato all’ascesa del capomafia e il suo ruolo sempre più centrale dopo le stragi del 1992 e 1993. Una mafia capace “di dosare il cemento e le pallottole, i segnali e soprattutto le parole”. Che si teneva “al largo dagli scandali”: una delle cose che i Messina Denaro (padre e figlio) avevano insegnato “non si deve parlare di noi, non ci piace”. “Su alcuni di questi eventi”, ancora Di Girolamo, “c’era come un cono d’ombra: mi sembrava che molte cose fossero state ignorate o date per scontate con superficialità”.
L’amico “condannato” a morte
Su altre, continua, “c’è stato un eccesso di racconto, una ipertrofia che è stata poi motivo di confusione ulteriore”. Un libro in cui tutto quello che è raccontato “è vero e documentato” come l’uccisione di uno degli amici del giovane Messina Denaro, Lillo Santangelo, un giovane di 25 anni iscritto a Medicina e originario di Castelvetrano che lo aveva introdotto ad alcune “signore” di Palermo condannato a morte dal padre Francesco Messina Denaro che era stato padrino di battesimo della vittima.
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