“Opere complete di Learco Pignagnoli e altre opere complete” di Daniele Benati torna in edizione ampliata, un altro importante tassello della scuola emiliana, accanto ai libri di Celati, Cavazzoni e Cornia. Frammenti, invettive, aforismi, riflessioni sulla vita e sull’innamoramento, oltre che sul cinema e sulla letteratura. Con guizzante intelligenza e acutezza nello sguardo e nello scandaglio dei rapporti umani
La scuola emiliana che già poteva vantare tra i propri nomi eminenti esponenti delle nostre lettere, da ricordare Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia del quale mi sento di menzionare un gioiello prezioso quale il suo La felicità a oltranza, dal 2006 può annoverare tra i suoi membri un altro illustre nome che è quello di Learco Pignagnoli. Le sue opere complete, delle quali scrive tale Daniele Benati (almeno così è riportato in copertina al volume edito da Quodlibet (la casa editrice fondata da Giorgio Agamben), sono state stampate in una nuova edizione (Opere complete di Learco Pignagnoli e altre opere complete, 230 pagine, 16 euro). Il volume raccoglie le 245 opere originarie e altre che sono andate a integrarle come se si trattasse della gionta ariostesca dell’Orlando Furioso, e in esse vanno inclusi anche il suo (di Pignagnoli) romanzo autobiografico, una sorta di convenzionale racconto realistico (solo in apparenza), le poesie e l’opera teatrale, ma tranquilli, per conoscere l’opera omnia del suddetto Pignagnoli non si tratterà di svenarsi economicamente e acquistare librerie a scomparsa come se si trattasse di un’Enciclopedia della Utet in venticinque o più volumi, basterà andare in libreria o in qualche shop online dove dallo scorso settembre le Opere (OCDLPEAOC da qui in avanti) sono uscite in una nuova e ampliata edizione nella collana Compagnia Extra della casa editrice marchigiana, la stessa collana alla quale hanno dato vita i succitati autori emiliani già riunitisi intorno alla rivista Il Semplice, all’interno della quale anche lo stesso Benatipare sia stato redattore.
Sul solco di un’antica tradizione satirica
Ma cosa sono esattamente queste Opere? E soprattutto, come fanno a stare tutte in un libro di 230 pagine? Semplice, se per Opere il suo autore, il quale ama molto le iperboli, definisce singoli frammenti, spesso di poche righe, in alcuni casi di un unico rigo, di mezza pagina, fino a un massimo di poche pagine, stralci di conversazioni ed esperienze di vita di esseri stralunati e bizzarri, tutte farcite dal gusto del nonsense e del paradosso, brevi istantanee che hanno in molti casi la potenza esplosiva di un limerick, di un haiku giapponese in versione pop, la scintillante forza di un ditirambo, inserendosi le OCDLPEAOC a pieno titolo in un’antica tradizione satirica che vanta nella nostra letteratura illustri predecessori, fra i quali tra i più recenti, per rimanere al secolo scorso, vale ricordare Achille Campanile (celebri le sue Tragedie in due battute) o il già citato Gianni Celati con la sua stralunata ironia, per non dimenticare un Ennio Flaiano al massimo del suo caustico sarcasmo.
Risate che sanno di libertà
Il bello di OCDLPEAOC è che uno può aprire una pagina a caso, quando e come vuole, e leggersi una delle sue Opere. Alcune hanno appunto la lunghezza di un aforisma, alcune addirittura di una semplice esclamazione, che in certi casi si trasforma in un’invettiva che non è mai a sé stante ma nel suo essere spiazzante ci scuote, interrogandoci e liberando spesso una vigorosa risata che sa di libertà come solo può fare un lampo d’intelligenza. Altre opere sono più lunghe e argomentative ma queste sono l’eccezione a un libro che già in sé è tutta un’eccezione. Io di queste Opere me ne sono segnate un po’, quelle che più mi hanno più intrigato, divertito o fatto sobbalzare con un ghigno che se qualcuno mi avesse visto avrebbe pensato fossi impazzito. Una prova da fare potrebbe essere quella di affrontare una seconda e più rapida lettura leggendo solo quelle contrassegnate e poi magari divertirsi a cancellarle e rileggere il libro da capo segnando di nuovo quelle che ci hanno colpito, verificando se siano le stesse, e rileggerle un’altra volta e un’altra volta ancora, così magari ci sarebbero più letture, come del resto merita questo libro, se si può chiamarlo tale, oltre al fatto che anche leggendo a spizzichi e bocconi, soffermandosi solo su quelle contrassegnate l’occhio potrà cadere inevitabilmente anche sulle altre che così avrebbero anche loro il giusto omaggio e il libro potrebbe vantare più riletture complete. Non mi metterò qua a citarne di Opere. Se quella che l’editore o Daniele Benati o lo stesso Learco Pignagnoli hanno deciso di mettere sul retrocopertina doveva avere per loro (chiunque l’abbia deciso) la forza di un manifesto, io in tal senso mi sento di citare l’Opera n. 119 che al proposito penso sia necessario riportare per intero.
Una cosa da mettersi bene in testa è che con l’autore Learco Pignagnoli c’è poco da farsi tante idee sbagliate. Che non ci confondiamo con Moravia. Con Learco Pignagnoli voi vi mettete lì, non leggete niente, non voltate pagina, ma almeno lo sapete che non state leggendo niente e che semmai, se vi salta il ticchio di voltar pagina, lo fate solo per fare piacere all’autore. Poveretto! Chissà dov’è? Chissà che cosa fa?
Stoccate al politically correct
Penso che giunti a questo punto una domanda sorga spontanea. Di cosa parlano esattamente le OCDLPEAOC? e, c’è un’unità tematica (termine abusato) nelle OCDLPEAOC? Sì e no, e credo che questa sarebbe la risposta che potrebbe dare lo stesso Pignagnoli o quel Benati il cui nome appare nella copertina del libro, se mai si riuscisse ad intercettarlo, il quale pare abbia scritto anche altre cose (tutte da raccomandare dicono) e sembra sia stato anche traduttore di Joyce e Beckett tra gli altri. In effetti all’interno di OCDLPEAOC vi sono, oltre ai disseminati frammenti, parti più narrative con una loro consequenzialità e diversi sfondi tematici che le attraversano, fasci di argomenti che ritornano al loro interno formando una catena ideale, come riflessioni sull’innamoramento e sull’esistenza in genere, sul cinema, sul mondo letterario, in particolare sui premi letterari e sul mestiere dello scrivere e sugli altri scrittori; sembra avercela in particolar modo con Alberto Moravia e Alain Elkann, salvo nel caso del primo (dopo aver dato un non troppo lusinghiero giudizio sui suoi romanzi definendoli “chili di carta”), dar vita a un tentativo di ritrattazione che anch’esso è esilarante. Curioso il giudizio anche sul buddismo zen e soprattutto sui suoi praticanti e sembra avercela anche con gli insegnanti, a suo dire degli imboscati che più che insegnare si preoccupano solo di starsene a casa fingendo malattie inesistenti o una volta di ruolo che si adoperano a fare domanda di avvicinamento, per non parlare di alcune stoccate ben assestate che dà al cosiddetto vivere in società e al politically correct. Il tutto con il contorno e il solito catalogo di pazzoidi stralunati tipici della scuola emiliana della quale anche lui, Learco Pignagnoli, fa parte.
Sguardo acuto e intelligente
Viene infine da domandarsi se le OCDLPEAOC possano essere considerate un libro e se il corrosivo sarcasmo, benché intriso di alcune venature malinconiche e di nostalgia verso il passato e condito da un cinico disincanto, ma sempre con una guizzante intelligenza e acutezza nello sguardo e nello scandaglio dei rapporti umani, come nella migliore tradizione dei grandi aforisti, sia lo stesso del suo autore. Se vi capitasse di trovarlo da qualche parte, sembra sia tuttora in giro a fare convegni per diffondere le sue Opere, provate a fargli qualche domanda, dicono sia molto gentile, magari anche una sola, tipo chi ha pensato di dargli quel nome che sembra quello di un personaggio secondario di una tragedia greca, se sia stato uno dei suoi genitori oppure se sia stato proprio quel tale Daniele Benati, il cui nome appare in copertina di questo strano e spassosissimo libro e che pare si spacci alternativamente come il suo creatore, il suo nume tutelare e l’autore stesso delle sue (del Pignagnoli) opere, come l’ultimo dei ghostwriter c’è poco da fidarsi di questi emiliani!
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